La sua storia è simile a quella dell'imprenditore tedesco Oskar Schindler narrata nella pellicola di Steven Spielberg, Schindler’s list, ed anche se meno conosciuta ha lo stesso tratto di eroismo per aver contribuito al salvataggio di diverse vite umane negli anni della dittatura in Argentina. Filippo Di Benedetto, nativo di Saracena dove negli anni tra il 1947 e il 1949 ricoprì il ruolo di sindaco del PCI, è stato sindacalista e paladino dei diritti umani. A lui l'amministrazione comunale di Saracena ha intitolato una strada nei pressi della piazza principale del borgo che è stata ufficializzata - dopo l'ok della prefettura - con una semplice ma partecipata cerimonia. «Avevamo detto che volevamo fare della memoria un tassello importante per il racconto delle figure che hanno portato alto il nome di Saracena in Italia e nel mondo e così abbiamo fatto. Dopo la celebrazione dello scorso anno della figura di Di Benedetto che abbiamo anche raccontato a tanti studenti della nostra cittadina ma anche della Calabria intera, aggiungiamo oggi l'intitolazione della strada alla sua persona come impronta perenne per la nostra comunità della sua figura che ci tramanda il valore dell'uomo, il rispetto della dignità, la coerenza della responsabilità» ha detto il sindaco Renzo Russo alla cerimonia alla quale ha preso parte anche il figlio Claudio, il vice sindaco di Saracena Biagio Diana e gli assessori Rosanna Propato, Franco Gagliardi ed il capogruppo di maggioranza, Andrea Forte. Di Benedetto nei primi anni cinquanta emigrò in Argentina, a Buenos Aires, dove esercitò il lavoro di ebanista ma continuò, allo stesso tempo, a coltivare la sua passione più grande, la politica, diventando ben presto il referente ufficiale del Partito Comunista Italiano in Argentina. Il sindacato, tra le fila della Inca Cgil, lo vide impegnato come responsabile del patronato e poi come presidente della Filef, la Federazione lavoratori emigranti e famiglie. Negli anni in cui in Argentina i militari presero il potere Di Benedetto era diventato figura di primo piano tra gli emigrati italiani nel paese dei gauchos, un punto di riferimento politico e sindacale importantissimo per migliaia di connazionali, che a lui ed alla sua organizzazione si rivolgevano per qualsiasi cosa, dalla pratica per la pensione italiana fino a casi più complessi afferenti la tutela di particolari diritti. Quando la giunta golpista iniziò a mostrare la sua ferocia anche molti italiani furono oggetto della repressione militare, basti pensare che 1976 al 1978 furono presentate più di 1600 denunce all’ambasciata italiana di Buenos Aires, riguardanti persone scomparse con passaporto italiano. Mentre a Roma nessuno fece nulla per quanto accadeva in Argentina Filippo Di Benedetto ebbe il coraggio di sfidare uno dei regimi più violenti della storia dando rifugio ai braccati, preparò passaporti falsi, fornì, biglietti aerei, accompagnò molti connazionali in aeroporto per permettergli di ritornare in patria e salvarsi dalle oppressioni o addirittura dalla morte. Le vicende di aiuto agli italiani in Argentina fecero incontrare Di Benedetto con Enrico Calamai, viceconsole italiano a Buenos Aires e Gian Giacomo Foà, giornalista del Corriere della Sera.