
Dopo quasi cinquanta giorni la polmonite non è ancora andata via. Ma la luce fuori dal tunnel è dietro l’angolo. Genoveffa Bottino è adesso negativa a tampone molecolare. La dirigente del Sab, docente di discipline giuridiche all’Itis di Fuscaldo, ha quasi sconfitto il mostro. La sua è stata una battaglia lunga e piena di ostacoli iniziata il 21 ottobre quando è risultata positiva.
«Durante il decorso le cure non sono state del tutto adeguate e hanno peggiorato la situazione. Ancora oggi non so come ho contratto il Covid. Il sindaco a Fuscaldo con apposita ordinanza ha chiuso il 15 ottobre due classi del mio istituto per emettere poi per le stesse le quarantene fiduciarie. I miei colleghi si sottopongono a tampone solo dopo quasi 20 giorni». Il calvario di Genoveffa è iniziato a metà ottobre. Il suo medico - che il Coronavirus l’ha vissuto sulla sua pelle - ha capito subito la situazione. Due corse a Cosenza al pronto soccorso nel picco dell’epidemia, poi il ricovero a Cetraro nel reparto Covid. «Il 118 mi porta all’Annunziata. Non c’è acqua, non c’è una coperta, le condizioni del pronto soccorso sono pietose. La Tac arriva a notte inoltrata: ho la polmonite. Il giorno dopo vado a casa ma la terapia non è adatta nei dosaggi. L’11 novembre il secondo viaggio a Cosenza. Stessa situazione passano sette ore per la Tac. Torno a casa. Ho visto gente abbandonata a se stessa, anziani adagiati sulle sedie. Ho denunciato tutto». Infine il ricovero a Cetraro. «Il reparto è un dono del cielo. Sono grata per la professionalità. L’assistenza è sempre continua».
Genoveffa ha visto la morte con gli occhi: «Ho amato fino all’ultimo la mia compagna di stanza. Una nonnina che è deceduta poche ore dopo aver chiamato la figlia». Quindi alla politica: «Bisogna avere rispetto per i malati Covid. Non si pensi più a chiedere la soppressione di strutture che salvano vite».
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