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Cosenza, il virus è un killer ma i report lo ignorano

L’indagine epidemiologica da giorni sembra spenta con poche persone testate e appena 11 casi di giornata

Un reparto di terapia intensiva per pazienti affetti da coronavirus

Il virus si muove dentro i confini pallidi e disseccati d’una provincia dove, da giorni, non sembrano esserci più segni evidenti della sua sopraffazione, con numeri sempre meno degni di attenzione. La contabilità di giornata del resto segnala appena 11 nuovi contagiati. Undici persone positive al tampone molecolare (ben diverse dalle risposte dei test antigenici che i vari sindaci continuano a proporre sui territori amministrati) ma con due decessi. E proprio lo sproporzionato numero delle vittime (rispetto ai nuovi casi di giornata) spinge a credere in un dato ancora sottostimato dei positivi. Del resto, il tasso di letalità delle ultime 24 ore tocca il picco del 18,18%. Per comprenderci significa che il Cosentino più che un terreno brullo sarebbe un fertile fondo di coltivazione del morbo con un morto ogni 6 pazienti trovati positivi. Una catastrofe umanitaria. Del resto, il tasso di letalità negli ultimi trenta giorni in Calabria è contenuto in un 2,3%, mentre la media nazionale sale al 3,6%. Il valore più alto registrato in Italia è quello che ha fatto segnare la Valle d’Aosta con l’8,8%. Dunque, si capisce che un tasso di letalità del 18,18%, se fosse stato reale, avrebbe già provocato l’immediata reazione delle autorità sanitarie e della Protezione civile con l’inevitabile chiusura della provincia e l’applicazione di drastiche misure di contenimento urgenti. In realtà, più che un caso eccezionale il Cosentino è un inciampo matematico con il valore stellare dell’indice solo per una mera conseguenza algebrica di un’attività di tracing&testing praticamente inesistente.

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