I “padroni” della Sibaritide. Aziende e produzioni agricole così come il trasporto verso il settentrione d'Italia della frutta prodotta nella rigogliosa piana che da Cassano si estende fino a Corigliano Rossano, erano sotto il diretto controllo della cosca Forastefano da tempo federata con quella degli Abbruzzese. I due clan, dopo una sanguinosa faida che fino a meno di vent'anni fa li vide contrapposti, hanno sancito una pace duratura, trasformando la zona ionica settentrionale della Calabria, in una “signoria” mafiosa. Lo dimostra l'ultimo colpo inflitto stamane alla 'ndrangheta dalla Dda di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri. La polizia di Stato ha infatti arrestato, in esecuzione di un'ordinanza firmata dal gip distrettuale di Catanzaro, Paola Ciriaco, 17 persone residenti a Cassano, San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese e Paestum.
Ecco le foto degli arrestati
L'inchiesta e intercettazioni
Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Cosenza, guidata dal vicequestore Fabio Catalano e dal Servizio centrale operativo della polizia, sono state dirette dal procuratore Nicola Gratteri, dall'aggiunto Vincenzo Capomolla e dal pm antimafia Alessandro Riello. Magistrati e investigatori hanno ricostruito le estorsioni compiute in danno di una grande azienda di Tresigallo (Ferrara) – la “Cico-Mazzoni” - che gestiva una imponente azienda agricola nella Piana di Sibari ed è stata costretta annualmente a versare una “mazzetta”. Il dato è testimoniato da intercettazioni e dichiarazioni. E ancora: le vessazioni subite dal titolare di una azienda di trasporti che è stato spogliato dei mezzi e sostituito nei rapporti che aveva con la “Bartolini” a beneficio di una impresa controllata dalla cosca; le estorsioni subite dai titolari di imprese locali indotti a versare il “pizzo” stabilmente (tra queste figura pure una impresa vincitrice di un appalto al comune di Cassano che è stata costretta a cedere la commessa in subappalto ad un'azienda collegata al clan). Il sodalizio criminale era inoltre specializzato in truffe in danno dell'Inps che attuava attraverso le indennità percepite per il tramite di braccianti fittiziamente reclutati ma mai realmente impegnati nei lavori segnalati all'Istituto nazionale di previdenza. Tra le campagne sibarite – è proprio il caso di dirlo – non si muoveva foglia senza l'avallo della 'ndrangheta.
In carcere
Pasquale Forastefano, 34 anni, detto "l'animale” reggente dell'omonima cosca di Cassano; Domenico Massa, 44, suo fidato “consigliori”, di San Lorenzo del Vallo; Luca Talarico, 36, imprenditore agricolo di Spezzano Albanese; Stefano Bevilacqua, 36, genero del superboss ergastolano di Cassano Franco Abbruzzese; Gianfranco Arcidiacono, 36, parente e uomo di fiducia di Forastefano; Alessandro Forastefano, 30, titolare di un'azienda di trasporti e fratello del reggente del clan; Agostino Pignataro, 40, di Spezzano Albanese, uomo di raccordo della cosca con le aziende del settentrione d'Italia interessate ai trasporti da e per la Calabria; Nicola Abbruzzese, 42, detto “semiasse”, personaggio di spicco dell'omonima consorteria di Cassano; Antonio Antolino, 41 e Leonardo Falbo, 46, entrambi cassanesi e dipendenti di un'agenzia interinale utilizzata per truffare l'Inps per conto della cosca confederata facendo figurare come impegnati in lavori nei campi ben 173 finti braccianti agricoli.
Agli arresti domiciliari
Alessandro Arcidiacono, 51 anni, di Cassano, consulente di una nota famiglia proprietaria di centinaia di ettari di piantagioni di pesche convinta a cedere la gestione dei fondi rustici a una ditta “testa di legno” dei Forastefano riconducibile a Luca Talarico; Vincenzo Pesce, 54, di Cassano, coinvolto nelle truffe all'Inps; Giuseppe Bisantis, avvocato, 53 anni, di Paestum, ideatore di una fittizia azione risarcitoria promossa dal clan contro un'agenzia interinale; Damiano Elia, imprenditore agricolo di Cassano, ritenuto concorrente esterno nell'associazione mafiosa; Francesca Intrieri, 29, di Castiglione Cosentino, segretaria dell'azienda di Talarico, coinvolta nella presunta truffa all'Inps; Saverio Lento, 62, di Altomonte, uomo della cosca Forastefano e Andrea Elia, 41, di Cassano.
Tonino “il diavolo” e la cosca Forastefano
Il capo del clan è stato per un lungo periodo Antonio Forastefano, detto “il diavolo”, che ingaggiò una furibonda guerra con la cosca della criminalità nomade guidata da Franco Abbruzzese, inteso come “dentuzzo”. All'inizio dello scorso decennio si susseguirono un gran numero di agguati e i Forastefano sembrarono assumere il predominio dell'area a discapito dei rivali. Poi intervenne la Dda di Catanzaro, con l'inchiesta “Omnia”, spedendo in carcere capo, sottocapo e affiliati. Tonino “il diavolo” finito in manette, dopo aver inutilmente tentato di ottenere la scarcerazione fingendosi “depresso” decise di collaborare con la giustizia. Sembrò la fine di tutto ma non fu così. Un altro ramo della famiglia si organizzò trovando un accordo con gli Abbruzzese: ne è nata una consorteria potentissima oggi impegnata in svariati settori, tra cui quello dello sfruttamento illegale delle risorse agricole.
Il ruolo dell'avvocato
L'avvocato Giuseppe Bisantis, 53 anni, di Capaccio Paesteum, è ritenuto organizzatore della strategia da adottare per sottrarsi in maniera fraudolenta al pagamento delle fatture emesse dall’agenzia interinale Alma Spa per il servizio di sommistrazione dei lavoratori. Una strategia attuata col citare in giudizio l’agenzia di lavoro interinale ed avanzare una richiesta di risarcimento danni in nome e per conto dell’azienda agricola di Luca Talarico, "testa di legno" imprenditoriale della cosca Forastefano, pretestuosamente motivata sulla scorta di millantati danni arrecati alle colture dall’incompetenza tecnica degli operai forniti, avendo però sempre come obiettivo primario quello di porre il TALARICO al riparo da possibili conseguenze penali, come espressamente richiestogli dal boss Pasquale Forastefano.
La conferenza stampa
I risultati dell'operazione anti 'ndrangheta saranno illustrati in una conferenza stampa tenuta alle 11 dal capo della Direzione centrale anticrimine della Polizia, Francesco Messina, dal direttore dello Sco, Fausto Lamparelli, dal questore di Cosenza, Giovanna Petrocca, dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri e dall'aggiunto Vincenzo Capomolla.
Parla il procuratore
«In questa indagine - ha detto il magistrato - non ci sono stati collaboratori di giustizia, ed è stata ancora più difficile, ma abbiamo capito che era importante agire, perché questa famiglia di 'ndrangheta aveva l’ossessione del controllo del territorio, - ha detto ancora Gratteri - e si interessava al mondo dell’agricoltura perché è un settore molto redditizio, per i contributi europei e regionali, e anche per la possibilità di assumere operai, che poi voteranno e ci sarà il ritorno sulla richiesta del voto. E poi si organizzano le imprese per il trasporto dei prodotti verso il Nord». La 'ndrangheta che si evolve e cresce, ha aggiunto, «entrando nell’imprenditoria ha bisogno del mondo delle professioni - ha detto Gratteri - che ha abbassato di molto l’etica, la morale, ed è prono ai servigi all’imprenditoria mafiosa».
Parla il procuratore aggiunto
«Siamo di fronte a una distorsione dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali attraverso l'esecuzione costante di truffe in danno dell'Inps e delle agenzie interinali per il lavoro. Un contesto che svela una mafia diventata imprenditrice».
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