I soldi dei braccianti dovevano tornare nella bacinella del clan. Era una partita complessa quella che Pasquale Forastefano, reggente dell’omonima ’ndrina, giocava nel settore agricolo della Piana di Sibari, in provincia di Cosenza. La regola era la truffa e non v’erano eccezioni. Il piano, per lavare i soldi sporchi di altre attività e drenare i fondi dello Stato, poggiava principalmente sulla figura di Luca Talarico, titolare dell’omonima azienda e – secondo quanto emerge dall’inchiesta “Kossa” coordinata dal capo della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri e dall’aggiunto Vincenzo Capomolla – prestanome di Pasquale Forastefano. L’azienda Talarico veniva utilizzata per assorbire non solo tutto il personale di altre ditte rilevate o affittate da Forastefano, ma anche per reclutare un’enorme massa (oltre centosettanta persone) di manodopera attraverso l’Alma spa, una società di lavoro interinale con sede a Corigliano Rossano la cui filiale di Sibari era gestita da Antonio Antolino e Leonardo Falbo. Entrambi avranno un ruolo di primo piano, non solo, nell’ambito della truffa ordita ai danni dell’Inps, ma anche in quella che l’azienda Talarico (alias Forastefano), porterà a compimento, proprio nei confronti dell’Alma spa. Nell’organigramma messo su da Forastefano ha un ruolo da protagonista pure Francesca Intrieri. La donna viene assunta dalla società interinale e somministrata come segretaria all’azienda Talarico. A lei sarà affidato il compito di detenere e gestire la duplice contabilità riportante il numero delle giornate effettivamente svolte dai lavoratori e quelle falsamente comunicate alla sede centrale, dell’agenzia interinale, dalla filiale di Sibari. Un compito abbastanza complesso, visto che buona parte dei lavoratori della ditta Talarico esistono solo sulla carta.
Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza
Caricamento commenti
Commenta la notizia