«Possiamo concludere che gli elementi acquisiti, illustrati nella presente informativa, ci consentono di affermare che a carico di Isabella Internò sussistano fondati indizi di colpevolezza quale ideatrice, organizzatrice e partecipe dell’omicidio di Donato Bergamini, con il concorso di altri elementi del suo nucleo familiare». È quanto si legge, tra l’altro, nelle conclusioni dell’informativa redatta dalla sezione di Pg della Polizia alla Procura di Castrovillari sulla morte di «Denis» Bergamini, giocatore del Cosenza, avvenuta il 18 novembre del 1989, sulla statale 106, nei pressi del Castello di Roseto Capo Spulico. Il primo marzo scorso la Procura, con una nota a firma del procuratore ff, Simona Manera, ha comunicato di aver notificato l’avviso di conclusione indagini a Isabella Internò, che resta l’unica indagata per omicidio.
«L'evolversi dell’attività di indagine e le risultanze emerse, dopo aver portato a ritenere destituite di fondamento le altre ipotesi investigative circolate in questi lunghi anni sulle cause che portarono alla morte del calciatore ferrarese, hanno impietosamente fatto emergere come l’omicidio di Donato Bergamini sia maturato nell’ambiente strettamente familiare di Isabella Internò e che le dinamiche scatenanti il fatto delittuoso siano da ricercare nella tormentata relazione sentimentale tra la vittima e Isabella Internò e la fine del rapporto stesso». «Dal materiale probatorio acquisito, esplicato nel corso della presente informativa - è scritto nell’atto - si è avuto modo di riscontrare situazioni e stati di fatto che hanno portato la Internò ad accumulare, dal momento della fine della sua relazione con Donato Bergamini (nella primavera del 1989) emozioni negative quali gelosia, rabbia, frustrazione, risentimento e vendetta che hanno raggiunto il culmine nel mese di novembre del 1989. Gli elementi emersi dalle diverse indagini che si sono succedute nel corso degli anni, ci portano a ritenere che molto probabilmente è nell’ultima settimana di vita del calciatore che la Internò è giunta alla risoluzione del suo proposito vendicativo nei confronti di Donato Bergamini, preordinando i mezzi e le modalità di attuazione del suo intento criminoso. Isabella Internò è cosciente di non poter fare tutto da sola per cui deve aver cercato l’aiuto e l’appoggio della sua famiglia».
Nelle conclusioni dell’informativa si sostiene che «le deposizioni rese da Isabella Internò subito dopo l’evento, e poi anche successivamente nel processo contro Raffaele Pisano e nel 2011, sono state contraddittorie e disseminate da tutta una serie di falsità e di menzogne, a iniziare dal gesto di Donato Bergamini che si sarebbe suicidato buttandosi sotto l’autocarro in transito assumendo la stessa posa di un tuffo in piscina». Per quel che riguarda la posizione del camionista Raffaele Pisano, si afferma che «le investigazioni hanno portato a ritenere l’estraneità dell’uomo. Dagli elementi emersi si è giunti alla conclusione - si evidenzia - che il transito di Pisano, in quel momento, sulla statale 106 non rientrava nell’esecuzione di un piano criminoso che aveva visto la fattiva partecipazione dell’uomo quale concorrente, con il precipuo compito di contribuire a depistare le indagini, inscenando un investimento stradale e camuffando la morte per omicidio di Donato Bergamini, in un suicidio. Relativamente al marito di Isabella Internò, Luciano Conte, dalle indagini è emerso che all’epoca dei fatti i due si conoscevano e molto probabilmente erano già fidanzati, come si evince dalla conversazione. Dalle indagini, tuttavia, non si ricavano elementi in base ai quali ipotizzare un coinvolgimento dell’uomo nell’ideazione, organizzazione ed esecuzione dell’omicidio». (ANSA).
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