Un furto sacrilego. Compiuto la notte del 3 ottobre del 1983 in uno dei santuari più frequentati della Calabria: quello dedicato a San Francesco di Paola, patrono della regione. I ladri penetrarono nella struttura sacra, risalente al 1500, impossessandosi delle reliquie del Santo. Portarono via un busto in argento raffigurante il miracoloso frate, una lampada votiva in ottone e argento, un Crocefisso in argento e cinque reliquari con i pochi resti del taumaturgo paolano, il suo saio, uno zoccolo in legno e la corona del Rosario. Al mattino, scoperto il furto, lo sgomento fu unanime. Polizia e carabinieri entrarono subito in azione, sentendo “confidenti”, compiendo perquisizioni in casa di persone sospette, controllando gli alibi di esponenti della criminalità locale. L’attività investigativa non sortì tuttavia alcun esito. Qualcuno, però, si mosse: perchè quattro giorni dopo, a centinaia di chilometri di distanza, vicino il numero civico 19 di via Ostiense, a Roma, la Polizia stradale trovò casualmente (?) una sacca di plastica contenente una parte del bottino arraffato in Calabria. Dentro c’erano i denti di San Francesco, il saio, il Rosario e lo zoccolo in legno. Nessuna traccia, invece, degli altri oggetti. Che non saranno mai più ritrovati.
Il punto della Procura
Il nove agosto del 1984, la Procura di Paola emise sei ordini di cattura nei confronti di quattro uomini e due donne napoletane, ritenendoli responsabili dell’azione compiuta a Paola e di altri tre furti messi a segno a Taranto, Trieste e Crotone. Il processo celebrato nei loro confronti si concluse però con una sentenza di assoluzione. Da allora nessuno è stato in grado di recuperare gli oggetti trafugati. Trentotto anni dopo, i carabinieri del Nucleo di Tutela del Patrimoni Culturale di Cosenza, hanno ripreso ad indagare. Come? Ascoltando testimoni, acquisendo tutte le carte impolverate di quel vecchio processo, cercando tracce del “tesoro” scomparso anche sul mercato internazionale attivo in forma legale e illegale attraverso internet. Il capitano Bartolo Taglietti ed i suoi uomini lavorano da settimane in silenzio dopo aver recuperato le foto degli oggetti sacri rubati. Lo stile investigativo è quello riservato ai “cold case” con una differenza, però, rispetto ad altri vecchi casi di cronaca riaperti: i reati in questa vicenda sono prescritti e il solo obiettivo dei carabinieri del generale Roberto Riccardi è di recuperare i reperti. Chiunque può perciò fornire indicazioni o dettagli senza correre rischi penali. Riportare nell’antico sepolcro dell’amatissimo Santo quegli oggetti significherebbe cancellare un’onta difficile altrimenti da dimenticare. E compiere un piccolo “miracolo”... investigativo.