La guerra al virus ha cambiato volto, scombinando i piani di chi pensava d’averla imprigionata dentro protocolli sanitari efficaci, in mezzo a regole inviolabili. Ma il morbo è tornato spargendo la disperazione tra chi è costretto a separarsi da tutto, ad essere ridotto a se stesso dentro corsie affollate degli ospedali (tutti saturi). È lì, tra reparti pieni e l’odore della malattia, che si trovano le tracce della vita che volge in fretta verso la morte.
Una fine annunciata da sguardi silenziosi e spenti di persone che lentamente si arrendono al male. Un pezzo alla volta il covid asciuga i loro polmoni, rende affannoso il respiro anche di chi vive attaccato a una macchina o nutrendosi di aria pompata dal caschetto cpap. Il virus inonda quei corpi toglie la forza di lottare e porta alla resa. È quello che sta accadendo in questi giorni di grande dolore con 25 morti in 6 giorni. Ieri, gli ultimi tre decessi (un 73enne di Acri nelle Malattie infettive dell’“Annunziata”, una 95enne di Paola, in casa, e un paziente cosentino che era stato trasferito nella Rianimazione di Catanzaro nei giorni scorsi per mancanza di posti in provincia) che provocano uno strappo ulteriore nella contabilità del dolore. I reparti sono saturi e le ambulanze sono in fila.
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