Che sia pizza o che siano fragole ogni espediente è buono per occultare e riciclare i soldi provenienti dal malaffare. Se nel 1985 nel film di Damiano Damiani “Pizza connection” ad essere usata come copertura per gli illeciti era una pizzeria, dalle indagini chiuse mercoledì dalla Dda di Matera è emerso che i soldi del traffico internazionale di droga venivano reinvestiti nella produzione di fragole. Quasi quattro milioni di euro, per come risultato dalle indagini dirette dal procuratore di Matera Francesco Curcio che risalirebbero al periodo che va dal 2013 al 2019, in contanti mai transitati su nessun conto corrente e, quindi, mai dichiarati al fisco. Diciotto gli arresti disposti dagli inquirenti e sei gli obblighi di dimora. Siamo nella fascia jonica lucana, nella Piana di Metaponto che si lega geograficamente per continuità a quella di Sibari. Il primo passaggio investigativo è stato quello di individuare il traffico di stupefacenti e i componenti del sodalizio che gestiva il traffico di droga, diretto, prima, dai fratelli Solimando, Giacomo e Filippo (da anni residente e operante nella Sibaritide già condannato per associazione mafiosa ritenuto il capo ’ndrina dell’allora comune di Corigliano Calabro e ritenuto reggente del clan di ’ndrangheta “degli zingari” della famiglia Abbruzzese di Cassano e attualmente sotto processo a Castrovillari per i fatti emersi dall’operazione “Il Tribunale” condotta dalla Procura di Castrovillari nel marzo 2018) e, poi, su delega di questi ultimi, da Benito Arone, originario di Montalto Uffugo ma residente a Tursi, in provincia di Matera. Il canale di riciclaggio del denaro sporco reinvestito era stato individuato nell’azienda agricola “De Pascalis”, fra le più importanti del materano che, nel giro di pochi anni, grazie agli apporti di capitali illeciti garantiti dai partner criminali, era diventata una realtà economica di grande rilievo. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza