Lo sguardo s’allunga negli interstizi più remoti delle statistiche. Dentro quei numeri si cerca la trama nascosta del virus mutato, il risvolto inedito della pandemia oltre l’apparenza di una fine declinata dai report incoraggianti di giugno. L’impressione è che il nostro ritorno a Itaca abbia subito un rallentamento. Nei giorni scorsi era stato il presidente dell’Istituto superiore della sanità, Silvio Brusaferro, a diffondere un invito alla responsabilità: «L’incidenza è sotto i 10 casi e l’auspicio è che si possa scendere ancora, ma i dati al momento mostrano che la discesa si è fermata. La scommessa è mantenerci su numeri più bassi possibile che ci garantiscano di poter tracciare i casi positivi».
Tracciamento a rischio Ecco, appunto. La ripresa del tracciamento, cominciata sotto le 50 diagnosi per 100mila abitanti doveva essere il simbolo di questa fase di convivenza col microrganismo in un’Italia sbiancata e senza misure restrittive. Nel Cosentino, l’incidenza degli ultimi sette giorni è risalita a 17,82 casi (con l’approssimazione diventa 18). E l’attività di testing&tracing è limitata, quasi esclusivamente, ai focolai per la definizione dei cluster.
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