Il coraggio delle idee è eterno e la storia, nella sua sorellanza alla filosofia, come la nottola di Minerva, prima lo intuisce poi lo testimonia. Per certi sentieri impervi, figure dimenticate, imprese valorose rimosse, mondi vinti tornano alla ribalta e si fanno raccontare. È così attraverso la penna di Giuseppe Pierino, ritorna attuale: vive l’esempio di “Fausto Gullo. Un comunista nella storia d’Italia”.
Del personaggio politico colpisce la «fedeltà alle sue idee», il coraggio di difenderle abdicando alla ricerca del potere a ogni costo. La rivendicazione contro l’ingiustizia sociale particolarmente estrema nel Mezzogiorno si unisce alla critica morale dell’uso della religione a favore dei ceti dominanti. «Pilastri morali su cui costruirà la sua opera», sottolinea Aldo Tortorella nella sua lucida prefazione al testo.
È un mondo che non esiste più quello narrato da Pierino, ma che è stato determinante per lo sviluppo sociale ed economico del Paese e per la costruzione della democrazia.
Ripercorrendo una vita, l’autore descrive cent’anni di storia d’Italia anche in una prospettiva internazionale. Un arco temporale segnato da eventi di portata epocale in cui l’Italia si è fatta attraverso i partiti di massa, i sindacati, le classi dirigenti maturate con gradualità nelle sezioni e nelle relazioni, le alleanze, le scelte e quelle mancate. Il punto d’osservazione è necessariamente a sinistra.
Pierino è anche lui un dirigente comunista che ne racconta un altro, nel farlo restituisce valore e dignità a un passato più che dimenticato rimosso. La biografia racconta la storia del Ministro dei contadini, il primo ministro comunista del Governo Badoglio, ideatore dei rivoluzionari decreti che incanalarono per la prima volta - e forse la sola - la rabbia delle masse in una direzione riformatrice. Ma a ritroso ripercorre anche le vicende umane meno note, fin dall’infanzia segnata dalla perdita del padre a soli tre anni. Allevato dalla madre, vive nella Presila cosentina con i suoi fratelli. Frequenta un terra vessata dai soprusi dei potenti e conosce il sapore amaro dell’ingiustizia.
Da ragazzo è un ribelle, un rivoluzionario che si affaccia al Partito socialista – racconta Pierino- cogliendo l’offerta di Pietro Mancini (nonno di Giacomo, ex ministro socialista cosentino). Se ne allontana quasi subito e a Napoli, dove si laurea in Legge nel 1909, conosce l’amico Amedeo Bordiga, con il quale fonda il partito comunista, sostenendo l’ala di sinistra bordighiana, più estremista, nello scontro con il centro gramsciano. Alle idee gramsciane riapproda per quel comune e fermo convincimento che la questione meridionale doveva essere considerata questione nazionale, su cui ingaggiare un’ azione riformatrice.
È il faro che lo guida nel percorso di un’esistenza. Antifascista, attraversata la lunga notte della dittatura e della guerra, matura punti di vista che si allontano anche da Bordiga e lo trovano «pronto ai nuovi compiti: risollevare il Paese, riconquistare l’indipendenza e rifondare lo Stato democratico attraverso un mutamento graduale e profondo».
È questo il momento in cui guadagna una sensibilità politica vicina a quella di Palmiro Togliatti. Centrale fu il suo ruolo nella svolta di Salerno durante l’assemblea del ’44, nella direzione della creazione di un Governo unitario antifascista. Una storia che Pierino riporta alla luce con la meticolosità dell’archeologo. Gullo fu nominato ministro dell’Agricoltura e tenne ferma la sua volontà riformatrice.
Nel ’47 l’ascesa della Democrazia Cristiana di De Gasperi e di un progetto politico più sbilanciato verso scelte liberiste, filo statunitensi, l’approvazione dell’articolo 7 della Costituzione che riceve i Patti Lateranensi , trovano in Gullo un comunista ortodosso. La coerenza delle idee, più tardi, lo indusse nella V Conferenza di Napoli, primavera del 1964, a portare all’attenzione di Togliatti una questione che gli stava a cuore: «Il pericolo di subordinare le finalità del partito a quelle dell’organizzazione». Togliatti non ne colse l’urgenza e liquidò garbatamente, ma sbrigativamente la posizione dell’amico, riconducendola a «visioni che erano quelle di un vecchio anticlericalismo».
Quell’estate, dopo la morte di Togliatti, continuò il progressivo isolamento di Gullo e fu nel corso della storia più evidente la sua chiaroveggenza.
Negli ultimi anni ricorda il colonnello Buendia, in Cent’anni di solitudine. Gullo respinge la mediazione, intesa come rinuncia ai valori della sua coscienza e del partito: «Stiamo lottando soltanto per il potere». Si ritira a Macchia di Spezzano Piccolo, in provincia di Cosenza, da dove continua il suo impegno politico.
Di Fausto Gullo Giuseppe Pierino restituisce l’ immagine di un politico di cui il lettore moderno si sente orfano. Al contempo, nutre la speranza che possa venire proprio dal Meridione una spinta riformatrice capace, in una società fluida, senza ancore ideologiche, di attuare un cambiamento ispirato a quell’ideale secondo cui la libertà è direttamente connessa all’uguaglianza (Jean – Luc Nancy).
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