Il depositario d'un segreto. Giuseppe Zaffonte è il pentito di 'ndrangheta che conosce bene cosa accadde negli ambienti criminali dopo l'uccisione, a Cosenza, di Antonio Taranto, 25 anni, ammazzato a colpi di pistola il tre marzo del 2015 nel quartiere popolare di via Popilia. Il collaboratore ha raccontato ai magistrati della DDa di Catanzaro, diretti da Nicola Gratteri, che fu subito indetta una riunione per salvaguardare l'autore dell'assassinio, Domenico Mignolo, pure lui cosentino e genero di un "uomo di rispetto" locale, da eventuali ritorsioni o da processi sommari istruiti dai capi delle 'ndrine bruzie per far luce sulla causa e la dinamica reale del delitto. Mignolo venne successivamente arrestato dalle forze dell'ordine e mandato a processo. Il procedimento giudiziario si concluse con la sua condanna a 16 anni di reclusione. Una condanna poi annullata per difetto di motivazione dalla Corte di Cassazione che ha rilevato insuperabili discrasie nella perizia balistica posta a base della condanna e che ricostruiva le fasi dell'omicidio. Il processo è pertanto stato rimandato in Corte di appello. I nuovi giudici di seconda istanza sentiranno il prossimo 8 ottobre, il collaboratore Zaffonte e, con lui, i pentiti Celestino Abbruzzese e Anna Palmieri (marito e moglie) e Luciano Impieri. La loro audizione è stata richiesta dal rappresentante della pubblica accusa Raffaela Sforza. Domenico Mignolo è difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Andrea Sarri, mentre i familiari della vittima sono rappresentati giudizio come parti civili dagli avvocati Angela D'Elia, Mariarosa Bugliari e Francesco Tomeo. I quattro pentiti racconteranno i retroscena legati alla uccisione di Taranto e i contrasti insorti nell'ambito della criminalità organizzata.