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Cosenza, un summit di mafia per sancire la pace tra i gruppi degli zingari

I retroscena dell’omicidio di Antonio Taranto nei verbali dei collaboratori di giustizia. Zaffonte apprese da Chianello che fu Mignolo a sparare

Antonio Taranto fu ammazzato il 3 marzo del 2015 nel quartiere popolare di Cosenza

Una riunione per ristabilire gli equilibri e far tornare la pace tra le consorterie criminali cosentine dopo l’omicidio di Antonio Taranto. Di questo ha parlato ai magistrati il collaboratore di giustizia, Giuseppe Zaffonte, che sarà sentito a ottobre nel corso del nuovo processo d’appello che dovrà fare luce sulla morte del 25enne. Il giovane venne ammazzato il 3 marzo del 2015 a via Popilia.
Quell’omicidio sconvolse il quartiere popolare della città dei Bruzi e le indagini portarono poi a individuare il presunto responsabile. Domenico Mignolo (legato per rapporti di parentela con esponenti della ’ndrangheta cosentina) fu arrestato e condannato in secondo grado a 16 anni di carcere. Ma i suoi legali fecero ricorso in Cassazione e lì arrivò la svolta: gli Ermellini il 9 aprile del 2019 annullarono la sentenza di appello con rinvio. Quindi, il processo di secondo grado era da rifare. Pandemia permettendo, il nuovo processo d’appello è ricominciato e adesso il sostituto procuratore generale, Raffaella Sforza, ha chiesto di sentire il prossimo 8 ottobre, il collaboratore Zaffonte e anche altri pentiti, ovvero Celestino Abbruzzese e la moglie Anna Palmieri e Luciano Impieri. I verbali dei pentiti sono stati depositati e quei racconti potrebbero essere determinanti nel secondo processo d’appello che dovrà chiarire alcune discrasie della perizia balistica evidenziate dalla Cassazione.

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