L’effetto domino dei piani di rientro, voluti dal governo centrale per sanare bilanci praticamente insanabili, ha generato lo smantellamento degli ospedali periferici, il taglio dei posti letto, la riduzione del personale sanitario. Con un dato di spesa che è degenerato (non a caso Spirlì aveva chiesto al governo di azzerare il debito della sanità calabrese per rimettere in moto il sistema-salute). Il fatto è che per undici anni, l’idea del risparmio applicata al sistema salute, secondo i principi del business globalizzato, si è tradotta in una riduzione di cure e di attenzioni per i malati. E la carenza cronica di personale medico e paramedico non consente di mantenere a galla le strutture efficienti. Un meccanismo continua a generare sfiducia e rabbia. I numeri non tornano in quasi tutti i reparti che nell’ultimo anno e mezzo hanno dovuto fare i conti con l’arroganza del covid. Difficile allora credere in una offerta sanitaria migliore in mezzo a un contesto drammaticamente ancorato ai numeri. Aritmetica che condiziona anche il destino dei punti nascita spalmati in tuttta la provincia. Nell’ultimo congresso nazionale della Società italiana di Neonatologia, che si è svolto a Roma, sono stati ribaditi i requisiti minimi di sostenibilità per i reparti di cura destinati ai pazienti più piccoli e la necessità di una riorganizzazione globale della rete tale da garantire omogeneità nell’assistenza ai neonati, tenendo d’occhio, inevitabilmente, la denatalità.
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