Cosenza

Domenica 17 Novembre 2024

Cosenza, le industrie diventate... scatole vuote

L’ingresso degli stabilimenti del Gruppo Tessile di Castrovillari

La storia d’un fallimento politico e generazionale. Una industrializzazione annunciata e mai riuscita, servita ad alimentare aspettative andate deluse e sbocchi occupazionali rimasti irrealizzati. Gli insediamenti produttivi messi in piedi nel Cosentino hanno fatto comodo solo a settori del potere, offrendo la possibilità a spregiudicati esponenti di partito di fare clientele e drenare ingenti risorse finanziarie.

Castrovillari

Se volessimo cominciare un viaggio tra le cattedrali del deserto sparse sul nostro territorio dovremmo partire dal Gruppo tessile di Castrovillari (Gtc) finito in liquidazione nel 1998 e poi ridotto ad un monumento di cemento e ferraglia innalzato sulla collina di Cammarata al mai avvenuto sviluppo industriale. Nel 1990 venne stipulato un contratto di programma tra il Gtc, la Società di gestione e partecipazione industriale Gepi e il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno con l’obiettivo di realizzare un polo tessile cotoniero ad avanzata tecnologia. Vennero immaginati investimenti fino a 160 miliardi di lire ma non se n’è mai fatto niente. I macchinari destinati all’azienda sono stati successivamente acquistati a prezzi stracciati da una fantomatica società con sede a Gibilterra e del colosso tessile sono rimasti i capannoni meta costante di ladri a caccia di ferro, infissi e tubature da rivendere nel mercato clandestino.

Cetraro

Analogo il destino della “Emiliana Tessile” di Cetraro nata con grandi propositi e ottimi iniziali risultati alla fine degli anni 50 per iniziativa del manager piemontese Donato Faini e ceduta, dopo la morte dell’imprenditore, alla Gepi e al gruppo Andreae. La nuova proprietà promise la costruzione di nuovi stabilimenti e l’assunzione di altro personale ma non accade nulla. Anzi, nel 1979 l’Andreae, dopo aver ricevuto 1,4 miliardi di capitale pubblico, uscì dalla società e la Gepi, acquisiti gli impianti, fondò la “Tessile di Cetraro” che non produsse alcun significativo risultato imprenditoriale. Subentrò perciò alla guida dell’azienda l’industriale Angelo Marani, forte di nuovi finanziamenti, ma tutto finì poi nel nulla visto che la società venne dichiarata fallita nel 2004. La fabbrica ex Marlane di Praia a Mare

Praia a Mare

La Marlane di Praia a Mare, fondata a metà anni 50 dal biellese Stefano Rivetti, è andata bene fino ai primi anni 70 poi, a causa della crisi del settore, fu venduta allo Stato prima attraverso l’Imi e poi attraverso il Gruppo Eni. Enormi i contributi pubblici erogati per tenerla in piedi ed evitare i licenziamenti del personale. Nel 1987, l’impianto produttivo è stato svenduto alla Marzotto che l’ha chiuso per scarsa redditività nel 2004. Alla stagione di questo altro fallito tentativo di industrializzazione s’è ipotizzato possa essere legata la morte per tumore di un centinaio di lavoratori. Una ipotesi avanzata da più parti che non ha però mai trovato riscontro in sentenze. Al conto del mancato decollo industriale del Cosentino vanno pure ascritti centinaia di milioni di euro finiti nelle tasche di imprenditori –“prenditori” beneficiari dei contributi garantiti al Sud dalla famigerata Legge 488. Per due lustri questa gente ha intascato soldi costruendo solo capannoni destinati a rimanere vuoti. L’affare della “488”, a un certo punto, era diventato così redditizio e conveniente che a rubare nella Sibaritide sono arrivati pure faccendieri turchi e tedeschi.

Legge 488

Nella florida Sibaritide uomini senza scrupoli, faccendieri impenitenti e affaristi d’ogni sorta hanno, nel volgere di vent’anni, ideato e messo in opera truffe milionarie. Milioni e milioni di vecchie lire e poi di euro sono finiti nelle tasche di speculatori pronti a tutto. Come? Attraverso la finta costruzione di stabilimenti produttivi per ottenere l’indebito sfruttamento delle risorse previste dalla famigerata Legge 488. I costi per lo Stato sono stati altissimi mentre più debole di prima s’è alla fine rivelata la già precaria economia locale. Decine di inchieste hanno raccontato al resto d’Italia ciò che avveniva: tanti sono stati i processi istruiti dalla magistratura mentre scarsa, o quasi ininfluente, è apparsa l’azione di recupero dei denari finiti nelle tasche di filibustieri e profittatori. Ma come si accedeva ai benefici finanziari della 488? Approfondiamo. I finanziamenti erano destinati alle imprese che svolgevano attività estrattive, manifatturiere, di costruzioni, di produzione e distribuzione di energia elettrica, di vapore e acqua calda e di servizi, che intendevano promuovere programmi di investimento nell'ambito di proprie unità produttive ubicate nelle “aree depresse”. Le spese finanziabili potevano riguardare la progettazione e direzione dei lavori, studi di fattibilità economico-finanziaria e di valutazione di impatto ambientale, suolo aziendale, opere murarie, macchinari, impianti e attrezzature varie nuovi di fabbrica, programmi informatici, brevetti concernenti nuove tecnologie di prodotti e processi produttivi. Per ottenere la prima erogazione, l'impresa beneficiaria doveva produrre alla banca concessionaria la documentazione utile a comprovare l'esistenza di una parte di capitale proprio. Può ben comprendersi quali siano stati i margini per operare artifizi e raggiri in danno dello Stato.

La Sibaritide

In Calabria, l’area sibarita è la zona con la più alta densità di “aziende fantasma”. Piccole industrie e imprese artigiane sono infatti sorte come funghi su una rigogliosa fetta di territorio compresa tra Rossano e Corigliano col solo obiettivo – come già detto – di lucrare illegittimamente risorse pubbliche. E così lo sviluppo e l'occupazione sono rimasti un miraggio e la zona s'è presto trasformata nel "paradiso" dei faccendieri. Manager spregiudicati, italiani e stranieri, hanno fatto la loro fortuna, forti di un colpevole silenzio della classe politica. C’è da augurarsi che vengano spesi con minore disinvoltura tutti i soldi che arriveranno con il Pnrr perchè rivedere le stesse cose sarebbe davvero triste e imperdonabile. Già, perchè facendo due elementari calcoli possiamo arrivare ad un’amara conclusione: con tutto il denaro sperperato negli ultimi quarant’anni in Calabria, oggi potremmo passeggiare lungo marciapiedi lastricati d’oro zecchino. E, invece, poveri eravamo e poveri siamo rimasti. Poveri e…gabbati.

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