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Cosenza, al welfare si lavora con la partita Iva

Il settore dei servizi sociali non dispone più di dipendenti pubblici ma solo di diciotto professionisti a progetto. Case-famiglia al capolinea: il disagio cresce e i pochi fondi sono erogati col contagocce

Bisognerebbe raccontargli le favole a lieto fine agli oltre duecento bambini ospitati nelle case famiglia del territorio bruzio non dimenticando gli anziani e coloro che vivono nel disagio e hanno necessità d’assistenza. Sarebbe giusto rassicurarli e dirgli che che il welfare in questa provincia è una sorta di principe azzurro sul cavallo bianco capace di risolvere – s’è sempre nel campo delle favole, è ovvio – tutti i problemi. Insomma bisognerebbe trovare le parole giuste per dire che «andrà tutto bene» perché il servizio sociale – o dir si voglia welfare – funziona in modo ineccepibile. Basterà omettere – con un’innocente bugia-bianca – che proprio il settore del cosiddetto disagio, quello che si dovrebbe occupare dei bisogni, delle crisi, delle emergenze, trova i suoi pilastri nel precariato assoluto.
Da tempo, ormai, il welfare bruzio funziona – quasi per miracolo – con la partita Iva. Niente personale assunto, niente dipendenti stipendiati. Tutti professionisti che staccano fatture mese per mese fino alla scadenza dei progetti. Che poi quando si chiuderanno i rubinetti dei Pon e il quelli del Fondo povertà bisognerà trovare altre fonti di sostentamento non tanto e non solo per le famiglie e i minorenni in difficoltà ma per questi professionisti a tempo molto determinato la cui assenza avrà un effetto dirompente sulla diga del disagio che si riesce a malapena ad arginare.

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