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Cetraro, l’ombra del carcere sul boss... in pensione

Il “re del pesce” condannato a 20 anni

Franco Muto

“Don Ciccio” è da sempre al centro delle vicende giudiziarie e criminali cetraresi. Un padrino come lui, infatti, non può andare in... pensione. La Corte di appello di Catanzaro, nel maggio scorso, ha inflitto vent’anni di reclusione al mammasantissima Franco Muto, 80 anni, inteso come il "re del pesce". I giudici di secondo grado hanno ribaltato la sentenza emessa dal Tribunale di Paola che, nel 2019, aveva escluso un attuale ruolo attivo del capobastone nella vita criminale dell’Alto Tirreno cosentino.
Di condanne e incriminazioni, in un trentennio di “attività”, “don Ciccio” ne ha accumulate parecchie. I guai maggiori cominciarono nel giugno del 1980 quando venne assassinato Giannino Losardo, segretario della Procura di Paola e consigliere comunale comunista di Cetraro. Losardo, esempio di dirittura morale e fiero oppositore delle cosche mafiose, era un suo “nemico”. Muto finì sott’inchiesta con la sua “banda” ma venne successivamente assolto con sentenza poi passata in giudicato. Gli andò bene pure quando lo storico pentito rosarnese, Pino Scriva, lo trascinò con le sue confessioni tra i banchi degli imputati nel celeberrimo processo alla cosiddetta “Mafia delle tre province”. Incassato, anche in quell’occasione, un verdetto assolutorio tornò nel “regno” che aveva sempre governato. Da allora in avanti non ha mai smesso di far sentire il suo “peso” lungo la fascia tirrenica del Cosentino. Il controllo del mercato ittico gli è costata una condanna a metà degli anni 90 mentre il suo gruppo è stato più volte oggetto di poderose iniziative giudiziarie dal 2002 fino ai giorni nostri.

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