Venti colpi di pistola, due killer e un tragico errore. Sul selciato il corpo di un ragazzo di appena 21 anni immerso in una pozza di sangue. Un ventunenne destinato a diventare una vittima dimenticata della ‘ndrangheta.
Giuseppe Borrello, venne ucciso la sera del 28 dicembre del 1987 nel rione Cittadella di Palmi. Aveva trascorso il pomeriggio in compagnia degli amici di sempre giocando a carte: le feste natalizie procedevano placidamente come da tradizione, sebbene la cittadina tirrenica vivesse l’incubo della faida che vedeva contrapposte, da ormai undici anni, le famiglie Condello e Gallico. “Pino - così tutti lo chiamavano - non frequentava ambienti a rischio, era figlio di un irreprensibile impiegato dell’Enel e studiava con profitto Veterinaria all’università Statale di Milano. Lui con le guerre di mafia e la violenza belluina non aveva nulla a che fare.
Borrello era tornato in Calabria dodici giorni prima di essere assassinato per partecipare all’anniversario di matrimonio dei genitori che cadeva il 16 dicembre. Rimasto poi in paese in vista della pausa natalizia, incontrava ogni giorno i suoi compagni di giovinezza con cui aveva condiviso la scuola e i lunghi pomeriggi trascorsi a giocare a calcio nel campetto della chiesa del Carmine. La sera in cui è morto stava lasciando l’abitazione in cui aveva trascorso le sue ultime ore di svago, dando appuntamento agli amici per il dopo cena.
Uscito dal portone e percorsi pochi passi, quella sera venne investito dai proiettili esplosi da due pistole calibro 9 e 7,65 che non gli diedero scampo. I sicari lo scambiarono per un’altra persona. I carabinieri lo compresero subito e la stessa “Gazzetta” pubblicò con chiara evidenza che si era trattato di uno scambio di persona. Il fascicolo d’inchiesta aperto dalla magistratura inquirente rimase però iscritto contro “ignoti” finendo, dopo poco più di un anno, in archivio. Gli autori del delitto non sono mai stati identificati e la tragica storia di Pino Borrello è stata ingiustamente consegnata all’oblio. Il padre del ventunenne, Antonino, è morto pochi anni dopo di crepacuore. L’uomo e la sua famiglia, lasciarono Palmi per 24 mesi dopo il fatto di sangue. Erano terrorizzati e andarono a vivere a Lazzaro in casa di parenti. Non riusciavano a capire cosa potesse essere accaduto. La sorella dello studente universitario, Carmela, non ha mai smesso da allora di chiedere giustizia e verità.
«Quella sera arrivarono i carabinieri a casa» racconta alla Gazzetta «perquisirono la stanza di mio fratello e portarono via mio padre senza dare spiegazioni. Lo condussero sul posto - scoprimmo più tardi - per riconoscere il cadavere. Io e mio marito, non ricevendo notizie, andammo in caserma e trovammo mio padre svenuto. Fu soccorso con un’ambulanza e trasferito in ospedale. Passarono mesi e poi anni senza che sapessimo più nulla. Avremmo dovuto avvalerci dell’assistenza di un avvocato per sollecitare indagini, chiedere spiegazioni... ma non lo facemmo. Non eravamo lucidi. Questa tragedia sconvolse la nostra esistenza: mio padre fu colto da quattro diversi infarti, venne operato e poi morì. Ma io non mi sono mai arresa. Spero ancora che qualcuno mi dica chi ha ucciso mio fratello».
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