Il “giallo” mai risolto delle pergamene scomparse. Novantacinque pergamene di particolare pregio sottratte all’Archivio di Stato di Cosenza tra il 2003 e il 2009. Documenti di particolare interesse storico realizzati da frati vissuti in secoli lontani. Uomini in saio pazienti e pignoli che ci avevano donato con il loro lavoro importanti testimonianze provenienti dal passato. La vicenda è emersa in tutta la sua singolarità nel 2016 per effetto di una indagine condotta dagli investigatori dell’Arma. Una indagine di cui la Gazzetta si occupò con grande slancio. Ma cosa è accaduto nel capoluogo bruzio? Qualcuno si è impossessato delle pergamene risalenti ad un periodo compreso tra l’inizio del XVI secolo e la prima metà del XVIII secolo. Si tratta di “antifonari”, cioè manoscritti utilizzati nelle liturgie ecclesiastiche, in lingua latina e greca. Le pergamene risultavano ufficialmente smarrite nel corso del trasloco dalla vecchia alla nuova sede dell’Archivio. mentre, in effetti, erano state rubate. I documenti erano stati scritti a mano da frati domenicani e francescani e rappresentavano un significativo patrimonio storico-musicale. Il furto è avvenuto senza clamori e con un’opera criminale lenta e graduale durata più tempo. Il misterioso uomo (e se fosse una donna?) ha fatto “sparire” i testi facendo in modo che nessuno potesse accorgersene, tanto che vennero a un certo punto dati per smarriti. Insomma, una operazione quasi... perfetta. Quando, però, i carabinieri del Nucleo di Tutela del Patrimonio Culturale erano sulle tracce sette anni fa del possessore d’un falso quadro di autore, un cinquantenne di Cassano che aveva messo in commercio la “crosta” su internet, hanno scoperto e recuperato 17 dei 95 “antifonari”. Dopo avere seguito con discrezione le mosse del sospettato cassanese che commerciava in rete, i militari hanno fatto irruzione nella sua abitazione alla ricerca del dipinto. Il quadro è stato ritrovato ma, nel contempo, sono saltate fuori pure le pergamene scomparse a Cosenza. Un breve consulto con la direttrice dell’Archivio di Stato e l’immediata verifica sulla banca dati dell’Arma (nella quale sono contenute 850.000 opere di interesse storico archeologico trafugate in questi anni) hanno confermato l’autenticità degli antichi documenti. Il cinquantenne è stato pertanto denunciato ed i manoscritti recuperati al patrimonio pubblico. Il possessore non è stato però in grado di fornire elementi utili alla identificazione dell’originario “ladro”. Che è rimasto senza volto.