Cosenza

Lunedì 25 Novembre 2024

Rende, al via il processo d'appello per la strage di via Popilia

L’auto che sgomma, le urla delle vittime e il crepitio dei kalashnikov: la strage di via Popilia è uno dei crimini più violenti compiuti nell’area urbana. Un crimine consumato in una fredda sera di autunno nel quartiere popolare bruzio e che ebbe, dopo sette giorni, una terribile appendice a ridosso della zona industriale di Rende. Riavvolgiamo il nastro e partiamo dal primo fatto di sangue. Un commando di sicari, guidato dal boss degli “zingari” Franco Bevilacqua (oggi pentito) detto “Franchino i Mafarda” la sera del 9 novembre del 2000 lancia un messaggio di terrore alla ‘ndrangheta. Come? Apre il fuoco con kalashnikov, fucili e pistole contro tre uomini intenti a parlottare in uno slargo di via Popilia. Per due di loro – Benito Aldo Chiodo e Francesco Tucci – non c’è scampo; il terzo, Mario Trinni, riesce a salvarsi correndo a perdifiato e rimane ferito solo a un braccio. La gente si rintana in casa, gli esercizi pubblici abbassano le saracinesche, quanti stanno per strada si riparano dietro i veicoli in sosta. Gli attentatori sparano da una Lancia Thema che riparte sgommando diretta verso Castiglione Cosentino. La vettura verrà sepolta sotto una montagna di sabbia all’interno di un impianto di calcestruzzo. La settimana dopo, il titolare dell’impianto, Sergio Perri, e la moglie, Silvana De Marco, verranno massacrati a colpi di mitraglietta calibro 9 lungo la strada che dal loro stabilimento produttivo conduce a Rende. È la “risposta” degli ’ndranghetisti per il lutto subito. Questa la secca cronaca degli accadimenti. Per la strage del 9 novembre, la Corte di assise di Cosenza, il 30 luglio del 2020, infligge la condanna all’ergastolo a Fioravante Abbruzzese, Antonio Abbruzzese e Celestino Bevilacqua; trent’anni vengono invece comminati a Luigi Berlingieri e 28 anni e 6 mesi a Saverio Madio. I giudici di primo grado ritengono pienamente credibili e riscontrate le confessione rese proprio dal capo del commando omicida, Franco Bevilacqua. L’uomo, due mesi dopo la strage, verrà infatti arrestato in una villetta di Marina di Gioiosa Ionica e deciderà di collaborare con la giustizia. Il boss della criminaluità nomade cosentina racconterà i retroscena dell’agguato a Chiodo e Tucci, della strategia disegnata per colpire i boss delle cosche di Cosenza, Rende e Paterno. Il collaboratore indicherà nomi e cognomi di “ azionisti”, complici e compari. Per la strage di via Popilia incasserà una condanna definitiva a 9 anni di reclusione, grazie ai benefici accordati ai pentiti e allo sconto di pena assicurato dal rito abbreviato. Alle sue rivelazioni si aggiungeranno, nel tempo, quelle dell’altro boss degli “zingari”, Franco Bruzzese, del collaboratore Mattia Pulicanò e dell’ultimo pentito fuoriuscito dalle file dei nomadi, Celestino Abbruzzese, detto “micetto”. Oggi, davanti alla Corte di assise di appello di Catanzaro (presidente Caterina Capitò) si aprirà il processo di seconda istanza. Il collegio difensivo, composto dagli avvocati avvocati Rossana Cribari, Cesare Badolato, Nicola Rendace, Filippo Cinnante, Gianfranco Giunta e Maria Rosa Bugliari chiederà la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per sentire nuovi testimoni. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza

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