Chiudono le aziende agricole e zootecniche. A uno a uno si mettono i catenacci ai cancelli e si spengono le luci fioche d’un consistente comparto produttivo che finora – nonostante il terremoto della pandemia – ha tenuto in piedi i pilastri dell’economia provinciale. Per oltre due anni gli imprenditori hanno tentato di restare in piedi e resistere alla mareggiate del virus che ha tagliato produzioni e guadagni. Poi è arrivato il caro-bollette, il caro-gasolio, il caro-materie prime e il caro-di-tutto-un-po’ e già lì la situazione è iniziata a degenerare al punto che nelle scorse settimane la Coldiretti è scesa in piazza a chiedere interventi. Ma ancora nessuno poteva immaginare ciò che di lì a poco sarebbe successo ancora. Nessuno poteva immaginare lo scoppio d’un conflitto, quello russo-ucraino, capace d’annientare non solo le popolazioni esposte direttamente alle violenze della guerra ma anche le attività economiche di aree lontane – almeno finora – dai luoghi del conflitto. «Allo spropositato aumento dei costi di produzione saliti oltre ogni immaginazione e con un trend di crescita settimana dopo settimana – scrive in una nota il presidente regionale della Coldiretti, Franco Aceto – si aggiunge lo spettro della mancanza di materie prime necessarie per l’alimentazione zootecnica». Il presidente della Coldiretti porta a esempio il fatto imprescindibile che dallo scorso sabato «l’Ungheria ha bloccato l’esportazione delle produzioni cerealicole, dall’Ucraina non si riesce a garantire alcuna sicurezza di carico dai porti, la Russia ha sospeso l’esportazione di concimi»
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