La sofferenza della sanità locale passa inevitabilmente dalla cruna di un sistema che continua a mostrare le fragilità di sempre. L’indebitamento mostruoso resta il male oscuro che ne condiziona la politica dei programmi. E la lotta al Covid è diventata il simbolo del fallimento, il vessillo della disorganizzazione. L’ondata ispirata dalla nuova variante, la Omicron 5, ha spalancato pericolose faglie che rischiano di risucchiare i nostri ospedali in un buco nero. Ed è la prima volta che i nostri malandati servizi assistenziali devono fare i conti con l’emergenza in piena estate. Un urto violento al quale la Regione e le Aziende sono arrivate, come sempre impreparate. Le Asp, poi, su precise indicazioni della Cittadella, ritenendo la pandemia ormai estinta, hanno cancellato le Usca il 30 giugno, proprio mentre la risacca dell’epidemia cominciava a gonfiarsi pericolosamente in ogni angolo della Calabria. Via le Usca per far nascere il nuovo sistema di Unità di continuità assistenziali con una manifestazione d’interesse che scadrà tra qualche giorno senza nessuna certezza sulle eventuali adesioni. C’è persino una legge del Consiglio regionale, la prima in Italia, che disciplina le nuove Usca. Una fuga in avanti che ha perso di vista quello che si stava verificando dopo la fretta del Governo di liberalizzare tutto.
Ospedali affollati E così il territorio si ritrova, in questa difficilissima fase, con i soli medici di medicina generale a tentare di contenere la violenza dell’ondata di piena insieme a un manipolo di specialisti dell’Igiene pubblica. Poca roba rispetto al numero dei casi e all’aumento esponenziale degli accessi ai servizi assistenziali. I presidi spoke dell’Asp sono ormai sguarniti con reparti che aprono un giorno e chiudono un altro. E pure l’“Annunziata” soffre da giorni con reparti blindati e col Pronto soccorso rimasto in piedi solo grazie alla riapertura dei reparti Covid a Rossano e Cetraro. Ma la mancata programmazione e le recenti sforbiciate che hanno cancellato le Usca, ispirano interventi straordinari che non servono a migliorare la qualità dei servizi offerti. E a pagarne le conseguenze sono sempre gli stessi: personale sanitario e cittadini utenti. L’assistenza domiciliare, ormai, è legata alla disponibilità del medico di famiglia che, pure, deve garantire l’assistenza a tutti gli altri mutuati che ha in carico. I casi urgenti sono affidati al “118” che, tuttavia, è costretto a fare i conti con la mancanza di barelle nel Pronto soccorso dell’“Annunziata”.
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