In cella, solo. Stroncato da un arresto cardiocircolatorio. Mario Serpa, ergastolano, il più temuto tra i boss del Paolano, è morto nelle scorse settimane per un malore avvertito nel carcere di Parma. Sul decesso indaga la procura della città emiliana: all’autopsia compiuta nei giorni successivi alla scoperta della salma si aggiungono adesso altri mirati accertamenti disposti dai pubblici ministeri. La ragione? Serpa pare avesse da giorni una condizione fisica compromessa: avvertiva dolori al petto forse legati ad anomalie cardiache poi rivelatesi fatali. Ed è questo il punto su cui i congiunti del padrino chiedono - attraverso i loro avvocati, Giuseppe Bruno del foro di Paola e Giovanni Galeota di Fermo - verifiche e accertamenti. I sintomi lamentati da Serpa e testimoniati da altri detenuti sono stati colpevolmente sottovalutati? Una domanda alla quale i pubblici ministeri parmensi pare siano intenzionati a dare una risposta.
La storia criminale di Mario Serpa è connessa alla presenza della ‘ndrangheta nella zona di Paola. “Don Mario” - così lo chiamavano con terrore e rispetto i suoi accoliti - era stato condannato al carcere a vita dalla Corte di assise di Cosenza per l’uccisione di un piccolo imprenditore della cittadina tirrenica, Luigi Gravina, che s’era ribellato alla richiesta di pagamento del “pizzo” che gli era stata fatta. L’omicidio, compiuto nel marzo del 1982, venne ricostruito grazie alle confessioni rese da Sabino Peccatiello, picciotto di origine campana diventato “azionista” del clan, che arrestato dopo il fatto di sangue vuotò il sacco. Il sicario campano fu in quegli anni l’unico pentito fuoriuscito dalle file della cosca. Peccatiello ammise la partenità del crimine e fece ritrovare agli investigatori le armi del gruppo mafioso. L’uomo è morto nei mesi scorsi per covid proprio qualche settimana prima che il comune di Paola intitolasse una via pubblica al coraggioso Gravina.
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