Il Dna... dimenticato. Da sette anni la magistratura inquirente è in possesso del codice genetico di uno degli stupratori e assassini di Roberta Lanzino. La studentessa di Rende venne uccisa il 26 luglio del 1988 lungo la strada che da San Fili conduce a Falconara Albanese. L’impronta biologica dell’omicida è stata scoperta dai carabinieri del Ris di Messina mentre riesaminavano i reperti sequestrati al momento del ritrovamento del cadavere. L’isolamento del Dna ha portato alla definitiva assoluzione di Franco Sansone, ex detenuto, già giudicato per altri due delitti, che era finito a giudizio come presunto esecutore materiale del crimine. Dopo la sentenza i congiunti hanno cominciato ad attendere l’esito delle nuove indagini. Esiti che, però, non sono arrivati. Sulla questione interviene pure il criminalista Luca Chianelli, consulente scientifico della famiglia Lanzino. Chianelli partecipò con Il Ris all’individuazione del misterioso codice genetico ancora non attribuito.
Cosa è stato fatto - gli chiediamo - negli ultimi anni?
Il procuratore di Paola, Pierpaolo Bruni, non ha affatto abbandonato l’indagine, anzi, ha disposto diverse comparazioni biologico-genetiche tra il Dna di alcuni sospettati e il profilo genetico maschile ignoto trovato dal Ris all’interno del terriccio repertato sotto il corpo di Roberta.
E, allora, si puó fare ancora qualcosa?
Si puó, anzi si deve, proseguire e intensificare questa attività di confronto genetico per dare finalmente un nome ad uno degli assassini di Roberta. In casi del genere, la ricerca può essere ampliata anche con un’analisi di primo livello, finalizzata ad intercettare il ceppo familiare del soggetto ignoto: uno zio, un nipote, un cugino per esempio. Infatti, attraverso lo studio dell’aplotipo Y si potrebbe identificare una parentela in linea paterna, tale da consentirci poi di arrivare proprio al soggetto che cerchiamo.
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