Davide Dionigi: casa e lavoro, lavoro e casa. Un vecchio motto che calza a pennello. Mai come quest’anno. Vive con la famiglia in uno dei grattacieli che s’affacciano sullo stadio “Marulla”. Nello stesso stabile, la maggior parte dei suoi collaboratori. «Abitare vicino allo stadio non è frutto della casualità», spiega, «ho sempre fatto così nella mia carriera di allenatore e giocatore. Vivo poco la città. Finito il lavoro mi piace rientrare subito a casa». Schivo, ma al punto giusto. Cordiale, sorridente e accogliente. Appuntamento alle dieci davanti alla sede sociale. Poi un tuffo nella pancia del “San Vito”, accompagnati dall’addetto stampa Gianluca Pasqua. Dal giorno in cui la società annunciò il suo ingaggio sono passati quattro mesi. All’epoca molti arricciarono il naso. Si erano legati al dito quel “no” a Guarascio di qualche mese prima. Inoltre, il curriculum lasciava a desiderare. «Giusta quella reazione, anche se non del tutto condivisibile», dice Dionigi, «non è giusto giudicare una persona senza conoscerla bene. Un po’ come faccio io con i giocatori. Penso di essermi guadagnato piano piano la fiducia della gente come uomo prima e allenatore dopo. Noto un certo affetto e giudizi equilibrati. Segno che si comincia ad apprezzare il lavoro». Davide Dionigi quest’anno ha avuto la fortuna se fortuna si può definire di abbracciare un Cosenza più organizzato rispetto al passato: direttore sportivo, allenatore, ritiro, una rosa quasi completa già per ritiro e Coppa. «Non conoscevo il ds Gemmi», spiega Dionigi, «ma è bastato parlarci pochi minuti per capire che stava nascendo un progetto serio». Non vuole sentire parlare di alta classifica e sogno playoff. «Se dicessi il contrario sarei bugiardo. Siamo lassù, ma nel breve termine è difficile pensare di centrare obiettivi importanti. A lungo termine possiamo pensarci». Prima di arrivare a Cosenza che referenze aveva raccolto? «Un allenatore si informa di tutto. Chi c’è, come si lavora, eccetera. Ho avuto la fortuna di vivere per molti anni in Calabria (ha giocato con la Reggina ed è stato pure sulla panchina amaranto: ndr). Conoscevo l’ambiente. Partivo avvantaggiato». Nel gruppo di quest’anno non ci sono prime donne. Nessuno ha il posto sicuro. La dimostrazione venerdì scorso quando a poche ore dal match con il Como è stato tirato fuori dal cilindro per la prima volta il giovane attaccante Nasti anziché Larrivey o Butic o l’altro promettente Zilli. È andata bene. Come si definisce? Fortunato o uno stratega? «Ogni squadra ha delle caratteristiche. La bravura dell’allenatore sta nel capire quello che gli sta intorno. Dal primo momento ho lasciato intendere che ci sarebbe stato bisogno di tutti. Che avrei tenuto tutti sulla corda e che i giocatori si sarebbero dovuti aiutare l’uno con l’altro. Non a caso i nostri 8 gol sono stati realizzati da giocatori diversi. Fuori da questo schema il Cosenza rischia di deragliare. Devo dare anche atto ai giocatori più esperti, non voglio definirli anziani, che stanno mostrando una grande moralità e una grande intelligenza. Tutto lo spogliatoio nel complesso da questo punto di vista è straordinario. Per il resto, non mi ritengo né fortunato né preparato. Mi ritengo un allenatore equilibrato. Per cui va in campo chi corre, chi si allena bene, chi è funzionale al gioco della squadra. Non c’entra se ha 38 anni o ne ha 19». Chiaro il riferimento a Larrivey. «Bati dall’inizio ha quasi sempre giocato dal primo minuto», sottolinea Dionigi, «la decisione di fare giocare Nasti è maturata a poche ore dal fischio d’inizio. Per il giocatore intelligente avere un allenatore così penso sia una garanzia. Da questo punto di vista con la dirigenza e il diesse siamo sulla stessa lunghezza d’onda». Dionigi ammette di avere numericamente una rosa completa. Ma si aspetta una crescita di alcuni giocatori per avere tutti sullo stesso livello dal punto di vista qualitativo. Difficile così stando le cose gestire la rosa? «Non mi sono mai fatto problemi al momento di fare le scelte. È normale che chi non gioca non è contento. Ma sono felice quando ciò accade. Preferisco avere un giocatore scontento che quando entra fa gol e poi mi manda a quel paese davanti a tutti anziché un altro scontento che entra e non fa il suo dovere». Era preoccupato contro il Como dell’assenza per la prima volta di Florenzi? «Sì, in quanto questo ragazzo ci dà equilibrio in tutte e due le fasi, difensiva e offensiva. Non abbiamo un altro giocatore con le sue caratteristiche. Equilibrato, che sa gestirsi, nonostante l’età. Ma chi ha giocato non è venuto meno sul piano dell’impegno. Ripeto: in questa squadra tutti si aiutano. Nessuno tradisce il compagno. C’è grande unione. Chi non gioca viene incitato. Solo così possiamo sopperire alla differenza con le corazzate di questo campionato. Se non cambiamo strada e ci inventiamo qualcos’altro sia pure con i limiti che abbiamo potremo levarci delle soddisfazioni». Dati alla mano questo Cosenza va già meglio rispetto alla scorsa stagione. Migliorato il rendimento esterno: 8 punti complessivi nel passato campionato, ora ne sono arrivati già 5, un discreto bottino di reti all’attivo (8, comunque il peggiore tra quelle della fascia playoff), la difesa regge, più personalità nel concludere a rete. «I nostri attaccanti tranne Larrivey non hanno grandi numeri, dobbiamo farli crescere. E da questo punto di vista sono ottimista. Stiamo costruendo con la società giocatori che domani potranno arrivare lontano. Siamo partiti dalle fondamenta. Il nostro percorso è in evoluzione». Questi 11 punti cosa rappresentano? «Una base di lavoro. Tutti punti meritati. Anzi, ce ne manca uno. Quello col Bari. Sono punti che devono aiutarci a crescere. Senza dire dove potremo arrivare». Con quale spirito si va a Reggio? «La Reggina come Brescia, Genoa, Parma, Cagliari, Genoa, Benevento è stata costruita per vincere il campionato. Ma come abbiamo fatto con Parma, Ternana, il Bologna stesso e il Como dobbiamo essere bravi a giocarcela».