Il decisionista. Vitaliano de Salazar in 40 giorni sembra aver ridisegnato la mappa della sanità ospedaliera puntando sul nervo scoperto: l’emergenza. Come? Aumentando i posti letto in Pronto soccorso, reclutando il personale medico e infermieristico, rimettendo ordine negli accessi, rendendo gli ambienti più funzionali. Il manager laziale ci mette la faccia e affronta poi la stampa - tutt’altro che compiacente - stanca di raccontare ogni giorno di ritardi e disservizi. Snocciola dati e indica i primi obiettivi raggiunti ammettendo: «Non ho la bacchetta magica». È vero, ma chi viene a gestire ospedali in un’area così disagiata, sa di non poter essere come il mago Merlino. Niente bacchette miracolose, né pozioni salvifiche: quaggiù servono solo fatti che la gente aspetta da anni. E lui ci prova, offrendo il petto e richiamando tutti a «comportamenti individuali responsabili». De Salazar non molla, sembra Erwin Rommel che nel deserto nordafricano con pochi rifornimenti e tanta abilità teneva in scacco inglesi e americani. Combatte e osa, per vincere quella «resistenza invisibile che si oppone a qualsiasi cambiamento». Merita una chance. Anzi, più di una. L’audacia e la competenza - secondo la vecchia scuola di guerra prussiana - sono valori che fanno la differenza. E qui abbiamo una sanità che, a volte, ricorda davvero scenari bellici.