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Cibo “salato”, Cosenza è la città più cara d'Italia: 11% d'inflazione!

I dati Istat rielaborati dall’Unione nazionale consumatori

L'interno di un supermercato a Roma. ANSA/ANGELO CARCONI

La crisi non è addormentata, è sempre lì, minacciosa, dentro diagrammi che vibrano di tensioni esterne e di speculazioni. Certo, gli ultimi dati sfornati dall’Istituto di statistica nazionale rivelano una confortante correzione al ribasso dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività che ha registrato un aumento dello 0,1% su base mensile e del 10% su base annua. L’inflazione arretra rispetto al +11,6% registrato nel mese precedente per effetto del tetto al prezzo del gas e per la frenata delle quotazioni di luce e benzina. Un peso specifico minore della crisi, ma l’andamento altalenante della bilancia economica è strettamente in connessione con le dinamiche ancorate a fattori esogeni che finiscono per avere ricadute immediate sul sistema produttivo locale. Da un anno esatto viviamo in una terra sospesa tra minacce nucleari e l’incubo di una povertà che non è solo più una possibilità all’interno di uno scenario.

Gli aumenti record di gas, luce e benzina e la crisi delle produzioni, hanno trascinato il Cosentino in una vertigine di paura. Le attività di piccole e medie imprese da settimane si sono mosse contromano all’interno di orizzonti di eventi imprevedibili e forieri di negatività crescenti. E non sono stati solo i rincari a condizionare le vendite ma si è registrata una commercializzazione che ha risentito della paralisi delle materie prime che condiziona il futuro stesso delle aziende e delle famiglie. Basti pensare ad alcuni farmaci “spariti”, un fenomeno generato dalla carenza di materie prime che arrivano dall’estero (dalla Cina in particolare).

Cara Cosenza

L’inflazione ha trasformato le nostre case in luoghi freddi e silenziosi dove si campa alla giornata, da soli, sperando di riuscire ad andare avanti nonostante la folle corsa di cibo, gas e luce. E, sullo sfondo, lo spettro della fame. L’Unione nazionale consumatori ha elaborato i dati dell’Istat mettendo in fila le città con gli aumenti più consistenti della spesa media familiare in un anno. Cosenza è rimasta fuori dalla top ten. Il dato degli ultimi dodici mesi (gennaio 2022-gennaio 2023) ci consegna un’inflazione dell’11% (dunque, uno 0.9% in più del dato italiano). La prima città del Mezzogiorno è Catania che riporta un aumento del costo della vita pari a +12,6%. In Calabria, però, nessuno fa peggio. Anzi, sia Catanzaro (+8,4%) che Reggio (+8,8%) sono nella top ten delle città più virtuose, quelle dove il morso dell’aumento dei costi ha fatto meno male. I rincari medi regionali si fermano al 9,7%. Complessivamente, la spesa annua è cresciuta in media di 2.054 euro. Entrando nei dettagli, una famiglia composta da due persone ha sborsato 2.019 euro in più all’anno, con tre persone si è arrivati a 2.511 euro in più, mentre una spesa maggiorato di ben 2.865 euro è stata affrontata in una casa con marito, moglie e due figli.

Cibo choc

L’inflazione record alle nostre latitudini galoppa tra le dune di aumenti fuori controllo. Questa è una città dove mangiare e bere costa di più, ma dove le quotazioni di tutti gli altri indicatori del paniere sono segnalati in preoccupante rialzo. Crescono più di tutti i prezzi dei generi alimentari. Cosenza si conferma il luogo più caro d’Italia per quanto riguarda la spesa per il cibo (differenza tra gennaio 2022 e gennaio 2023) nell’ordine del +18,9%. Tutte staccate le altre 150 città monitorate. La media nazionale registra un +12,5%. Una prosa che si unge di crescenti negatività col passare dei mesi. A settembre, ad esempio, i rincari su base annua al supermercato per il cibo erano stimati al +12,5% con una previsione di aumento del costo della vita di +1.304 euro. In quattro mesi, però, la spesa per prodotti alimentari è cresciuta di altri 388 euro. E Cosenza resta prima anche nel dato combinato cibo-bevande con un incremento medio annuo del +18,3%. È come entrare nelle viscere di un corpo malato, uno scenario corroso, probabilmente, da una minor concorrenza di strutture commerciali rispetto ad altre realtà del paese, come provano a spiegare dall’Ufficio statistiche dell’Unione consumatori. Meno determinanti, invece, appaiono i costi di trasporto dal momento che città ancora più a Sud di Cosenza mostrano profili meno screpolati dagli aumenti della spesa alimentare.

Povertà

I segni della crisi sono stampati sul costato di chi combatte nelle periferie sociali della città. Le code si allungano ogni giorno davanti agli sportelli della Caritas e del Banco alimentare. Lavoro e rincari incarnano il bene e il male, forze sociali che dovrebbero riequilibrarsi ma che invece rischiarano gli abissi delle speculazioni in atto. In tutta la Calabria ben 530mila persone hanno manifestato lo stato d’indigenza. Nel Cosentino più di 34mila persone si sono rivolte al Banco alimentare. Ma le sacche reali dell’indigenza sono più consistenti. C’è tanta gente che non sa più come fare. E negli ultimi mesi a loro si sono aggiunti i poveri in giacca e cravatta, quelli che prima avevano tutto o quasi ma che, dopo il Covid, sono rimasti senza più nulla da difendere. Cosenza sta scoprendo che non esiste pudore, non c’è vergogna davanti alla fame. Non ci sono stime ufficiali, non esiste censimento di quel popolo di invisibili che si moltiplica nelle periferie sociali più remote. Il petto profondo del disagio non è più anonimo. Secondo l’Istat, le famiglie che alle nostre latitudini sono maggiormente colpite dal ciclone dell’indigenza sono quelle più numerose e con figli ancora minorenni. Il 10% dei nuclei vive in povertà assoluta. E tutto ciò accade proprio nella città dove mangiare e bere costa più caro che altrove. I misteri di una economia poco sociale e molto commerciale.

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