Il virus per due anni ha trasformato il nostro mondo in un teatro senza commedia. Il suo tragico passaggio ha cambiato la storia di un sistema salute già devastato dall’inutile piano di rientro. Un commissariamento che ha tagliato di netto il destino dei servizi assistenziali, come il filo di quelle lunghe giornate. La storia del Covid nel Cosentino è cambiata per la prima volta quando nell’aprile del 2020 fece irruzione negli ospedali dove la vita e la morte cominciarono a sfiorarsi con assurda costanza. Il morbo piegò quel cordone che avrebbe, invece, dovuto contenerlo, trasformando in fronti di guerra le corsie più esposte. Le mura dei luoghi di cura, senza strategie chiare e investimenti seri, franarono sotto l’assedio del male. E, nelle stanze della sofferenza dell’Annunziata e degli spoke della provincia i segni del virus che s’impossessava di vite umane diventarono sempre più evidenti.
Il vigile del fuoco
La prima ondata che sconvolse Bergamo colpì la Calabria in ritardo. Nella contabilità del dolore tra Pasqua e Pasquetta del 2020 venne iscritto anche il nome del caporeparto dei Vigili del fuoco, Bonaventura Ferri, diciottesimo martire del Covid, ad appena 52 anni. Quei numeri diventarono in fretta la matrice d’ispirazione per idealizzare i medici e gli infermieri a mani nude che, dentro gli ospedali, si opponevano alla protervia del virus. Ma proprio la morte di Ferri si è trasformata in un caso giudiziario. La famiglia si è affidata all’avvocato Massimiliano Coppa, esperto in colpa medica, per chiedere verità e giustizia sulle cause che avrebbero determinato il decesso del congiunto, in mezzo a due ospedali, l’Annunziata e il Mater Domini.
La svolta
La trama ricostruita da un pool di esperti e di docenti universitari avrebbe rivelato a sorpresa un movente colposo nella morte del caporeparto dei vigili del fuoco. Il Covid sarebbe stato solo l’elemento che avrebbe aggravato un quadro clinico già compromesso da due ipotetiche «infezioni ospedaliere e uno pneumotorace bilaterale ed enfisema sottocutaneo». Ipotesi che hanno ispirato i congiunti a citare in giudizio i due ospedali, davanti al Tribunale di Cosenza. Una determinazione che rappresenta la risposta alle conclusioni dell’Annunziata che negano ipotesi di condotta colposa dei sanitari che – a vario titolo – intervennero al capezzale del vigile del fuoco che era anche un sindacalista battagliero. Secondo il parere degli esperti nominati dall’avvocato Coppa, invece, «l’infezione virale sarebbe stata complicata da varie infezioni ospedaliere che all’atto del ricovero nella Unità operativa complessa di Malattie Infettive dell’Annunziata dove fu somministrato Tocilizumab e le stesse infezioni non erano presenti al momento del suo ingresso in ospedale, considerato che il paziente era in buon compenso mediante ossigenoterapia e terapia farmacologica. Il quadro patologico era in fase di stabilità ed era avviato alla remissione quando è stato aggravato da una doppia infezione sopravvenuta indicabile come infezione ospedaliera (ICA) da Acinetobacter Baumani e Klebsiella Pneumoniae. È emerso, anche, che il catetere venoso inserito a Cosenza era infetto per come certificato dall’Azienda universitaria di Catanzaro e fu sostituito come la terapia farmacologica che determinò il fallimento del trattamento assistenziale effettuato a Cosenza e che non lasciò scampo a Ferri».
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