I luoghi della movida della costa tirrenica cosentina sono finiti più volte nel mirino delle cosche. Il blitz contro il clan Calabria-Tundis ha evidenziato come le cosche hanno provato a intimidire e colpire numerose attività commerciali. Gli investigatori hanno accertato come nelle bombe davanti a note cornetterie e gelateria della costa c’era lo “zampino” dei clan. L’8 ottobre del 2018, attorno alle 20.47, due giovani a bordo di uno scooterone posizionavano davanti alla serranda di un noto locale di Fiumefreddo Bruzio un ordigno rudimentale che danneggiò parte del muro e gli arredi interni del noto bar. Il locale si trova all’interno di un centro commerciale. L’amministratore denunciò l’episodio ai carabinieri riferendo di non aver mai ricevuto alcuna richiesta estorsiva. Furono avviate le indagini che fecero ricadere i sospetti proprio sul clan Calabria-Tundis. Dall’attività captativa, in seguito, è emerso come Gianluca Arlia, Fabio Calabria e Pietro Calabria «in fase di rendiconto dell’attività estorsiva», si erano resi conto che il titolare della caffetteria non aveva ancora pagato il pizzo. In una conversazione, intercettata dagli inquirenti, i due Calabria e Arlia discutevano di questo e stavano decidendo anche di procedere con un atto intimidatorio che doveva essere più incisivo. In un’altra intercettazione, i tre stavano pianificando contro il proprietario del locale: attraverso alcuni fotogrammi i carabinieri sono riusciti a documentare l’arrivo di Gianluca Arlia e Fabio Calabria a casa di Pietro Calabria. I tre discutevano delle modalità di “bruciare” di nuovo il locale. Gli inquirenti hanno poi accertato che gli indagati giustificavano il fatto di dover procedere con una nuova intimidazione perché nonostante il primo danneggiamento, il proprietario non aveva ancora pagato e quindi serviva un altro incendio per costringerlo a piegarsi al loro volere e decisero di farlo a distanza di un anno dal primo. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria