Due donne contro. La compagna venuta dall’est d’un boss scomparso prematuramente e la moglie d’un “ rampollo” della criminalità nomade. Edytha Kopaczynska e Anna Palmieri sono le sole pentite della criminalità organizzata bruzia. La prima è l’unica polacca condannata in Italia con sentenza definitiva per associazione mafiosa; l’altra è stata giudicata in via definitiva per traffico di sostanze stupefacenti. Tutte e due hanno contribuito con le loro confessioni a far luce su estorsioni, traffici di droga e fatti di sangue. La loro collaborazione ha un solo e limitato precedente nell’area urbana, risale al 2002 e riguarda Annatonia Bevilacqua, sorella del boss Franco Bevilacqua, detto “Franco i Mafarda”, che decise di “cantare” dopo il pentimento del fratello. La sua fu tuttavia una collaborazione limitata. Le confessioni rese dalla Kopaczinska e dalla Palmieri sono contenute negli atti di molte recenti inchiesta condotte dalla Procura antimafia di Catanzaro. Ma perché la polacca, legata sentimentalmente a Michele Bruni, morto per un male incurabile nel giugno del 2011 mentre si trovava recluso nel carcere di Livorno, ha deciso di pentirsi? «L’intendimento di collaborare» ha raccontato ai Pm «è maturato in conseguenza della morte di Michele e, soprattutto, della scomparsa di Luca Bruni, verificatasi il tre gennaio 2012. Da allora non ho più ricevuto nessun sussidio di carattere economico. Prima ricevevo 1800 euro di stipendio mensile. La scomparsa di Luca è stata determinata sicuramente dall’intento di mettere da parte la famiglia Bruni. Luca era l’ultimo del quale si poteva avere paura. Già qualche mese prima della scomparsa – aggiunge la donna – avevo avuto delle avvisaglie di quello che sarebbe successo». Edytha ha svelato l’organigramma della cosca, i legami con gli zingari e con la famiglia Serpa di Paola. E, in questo contesto, ha pure riferito particolari su alcuni omicidi tra cui quello di Franco Marincolo, avvenuto nel centro cittadino del capoluogo bruzio, nel luglio del 2004. Un delitto compiuto dal defunto marito Michele. La ex ‘ndranghetista dell’Est, che oggi vive sotto programma di protezione, durante la detenzione del coniuge svolgeva compiti di direzione all’interno della cosca. Anna Palmieri, invece, condivideva con il marito, Celestino Abbruzzese, detto “micetto” gli affari nel campo della droga. E si sentiva una donna del clan Abbruzzese, tanto da pretendere, a un certo punto, di essere ritualmente “affiliata”. «Nel 2014 mi proposi» racconta ai Pm «a mio cognato Antonio Abbruzzese, fratello di mio marito Celestino, per affiliarmi formalmente. Ciò in quanto temevo che se mio marito fosse stato arrestato, in assenza di una formale affiliazione, non avrei potuto avere voce in capitolo su tutto ciò che riguardava l'attività criminale dell’uomo con cui sono sposata. Quando mio marito venne a sapere di questa mia volontà, ci fu un'accesa discussione tra noi due, poiché lui era fermamente contrario alla mia affiliazione, che mi avrebbe costretto ad eseguire ogni tipo di ordine, anche di tipo omicidiario che fosse arrivato dalla cosca». Decisa a collaborare dopo l’arresto e la condanna, la Palmieri ha accusato pesantemente i cognati, dichiarando: «Tutti i pusher che lavoravano per me e mio marito a Cosenza Vecchia, oggi continuano a spacciare per i fratelli Banana: Luigi, Nicola e Marco Abbruzzese e il cognato Antonio». La Palmieri parla dunque dei germani del coniuge senza veli lanciando accuse che si riveleranno fondamentali per far scattare una serie di recenti blitz.