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Omicidio Lanzino, 35 anni dopo. Badolati: “Una storia segnata dalla zampata del diavolo. Ma c'è la firma dell'assassino...”

La firma dell'assassino. Basterebbe quella per mettere la parola fine a un cold case surriscaldato per 35 anni. Ma mai abbastanza, evidentemente, perché la parola fine è lontana. Probabilmente non verrà mai scritta. Almeno processualmente. Il perché lo spiega il caposervizio di Gazzetta del Sud di Cosenza, Arcangelo Badolati: “Si tratta di un omicidio brutale e casuale, che avviene senza preordinazione. Il processo ha avuto più vittime: oltre a Roberta anche Franco e Matilde, i genitori, che sopporteranno udienze e sentenze. Ogni volta che si recano in tribunale il loro dolore si rinnova. Sembra una storia segnata dalla zampata del diavolo: ogni volta c'è qualcosa che njon ava al proprio posto. In questo processo c'è la pistola fumante, la prova regina che può consentire agli inquirenti di risolvere il mistero: sul corpo della ragazza viene isolato il liquido seminale lasciato dai violentatori assassini. Ma nel 1988 questo tipo di analisi in Italia non si fa e il materiale biologico viene spedito in Gran Bretagna: l'operazione provocherà solo danni perché quanto raccolto diverrà inutilizzabile.

Nel 1995, poi, il colpo di scena: perché parla il più temuto boss di Cosenza, Franco Pino, un criminale a tutto tondo, che ha legami con le grandi famiglie della Piana e che eleva la 'ndrangheta cosentina al rango di 'ndrangheta imprenditrice. Pino racconta che in carcere avrebbe raccolto una confidenza dallo storico alleato e boss Romeo Calvano secondo cui i nomi degli assassini e violentatori di Roberta Lanzino sarebbero quelli dei Sansone, in particolare Franco, e di un pastore, Luigi Carbone. Le dichiarazioni sono state utilizzate nel 2000 per riaprire il caso, ma Romeo Calvano, essendo un boss e non un pentito, non confermerà quanto dichiarato da Pino. Il colpo di grazia al secondo processo è l'esito dell'analisi del materiale biologico trovato, in seconda battuta, in un pezzetto di terriccio sotto il collo della vittima: un mix di sangue di Roberta e, appunto, materiale biologico. Fatti i raffronti con i Sansone e con gli eredi di Carbone (nel frattempo scomparso per lupara bianca), l'esito è comunque negativo. Anche questo processo si chiude con assoluzioni piene. In sostanza, c'è un codice genetico in possesso della magistratura inquirente di Paola e non si sa a chi appartenga...”.

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