L’inflazione resta saldamente infiltrata nelle nostre vite pur se la sua arroganza, da mesi, non sembra più la stessa. La sua furia spossata è in esaurimento con un dato di luglio che è sceso ancora fino al +6,1% dopo aver sfiorato, a inizio anno, il 10%. La curva dei rincari si raffredda anche se le finanze delle famiglie cosentine non sembrano godere di queste correnti benefiche. Gli auspicati miglioramenti sono finiti nel tritacarne dei tassi d’interesse che hanno finito per mangiarsi una quota considerevole dei redditi generando l’immancabile stangata sulle vacanze nutrita dai rincari alle colonnine dei carburanti. L’Unione nazionale consumatori, che ha elaborato le stime mensili definitive dell’Istat, lancia l’allarme: «Dopo la botta di giugno, arriva quella di luglio. Un’estate rovente sul fronte dei prezzi». Cosenza si conferma la città più cara della regione che si traduce in una spesa aggiuntiva per famiglia media di 1.139 euro all’anno. Le altre? Catanzaro (con una inflazione al 4,3% e una spesa aggiuntiva di 803 euro) fa registrare la miglior performance tra le sorelle calabresi nonché il secondo miglior risultato in Italia (preceduta solo da Potenza). Bene anche Reggio con un +4,7% di rincari che costano 878 euro alle famiglie della città. Cosenza, dunque, paga dazio per prezzi ancora troppo cari per cibo e bevande. Rialzi alle stelle anche per i servizi della ristorazione. Scorrendo la media dei rincari registrati nei listini di ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, gelaterie, prodotti di gastronomia e rosticceria, a fronte di un’inflazione annua pari al +6,1%, in città si registrano aumenti dell’8,5%, sulla stessa linea di quanto è accaduto a Belluno, Messina e Olbia-Tempio, tutte sul quarto gradino nazionale. I ristoranti italiani più costosi sono a Viterbo (+14,%). Ma non scherzano, nemmeno, a Brindisi (+12,1%) e Benevento (+11,2%). Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza