È stato ucciso come un boss. Con due colpi di pistola sparati alla testa. Il suo carnefice ha premuto il grilletto da distanza ravvicinata. Sono i primi deboli mormorii che affiorano dall’autopsia sul cadavere di Carmine Morello 49 anni. Un accertamento irripetibile durato quasi tre ore, e condotto nell’obitorio dell’ospedale “Nicola Giannettasio”. Il consulente della Procura di Castrovillari e della Dda di Catanzaro, l’anatomopatologo Vannio Vercillo, è andato alla ricerca dei segni della morte su quel corpo ripescato nelle campagne della periferica contrada Strange, il 3 settembre. Un ritrovamento a distanza di poco meno di un mese dalla sua sparizione e, probabilmente, dalla sua uccisione. La data del delitto coinciderebbe con quella del giorno in cui si sono perse le tracce di Morello. Ma sarà collocabile nel tempo con assoluta certezza solo dopo aver analizzato i campioni di tessuti e di organi prelevati sul cadavere. I riscontri diagnostici forniranno cause e momento del decesso. I risultati dell’esame verranno depositati entro i canonici novanta giorni e consentiranno ai pm di poter imprimere la svolta decisiva all’inchiesta. I primi elementi tecnici rivelano l’ipotetica agghiacciante sequenza dell’omicidio. Dall’“invito” (verbale o via messaggio) da parte di una persona amica all’incontro con il killer in campagna. Sul luogo del martirio, Morello potrebbe aver discusso col suo carnefice, provando a discolparsi dalle accuse mosse a nome del clan. Un tentativo che si sarebbe rivelato inutile. La sentenza era stata già decisa, probabilmente, altrove. Forse, con la benedizione dei “compari” coriglianesi e cirotani. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza