Un fotogramma nitido. L’ultima immagine in vita di Carmine Morello, ingoiato dalla lupara bianca il 7 agosto scorso a Corigliano e i cui resti sono stati ritrovati due settimane fa alla periferia della città ionica, è stata ripresa da un impianto di videosorveglianza. Il quarantasettenne è in sella a una moto poi rinvenuta a una decina di metri dal cadavere ormai in decomposizione. Sfreccia veloce e poi sparisce dopo aver superato delle auto incolonnate.
Morello è stato invitato a un appuntamento e assassinato con due colpi sparati a bruciapelo alla testa. L’uomo che l’ha ucciso gli aveva raccomandato di non portare con sé il telefonino: «Dobbiamo fare una cosa delicata, lascia il cellulare da un’altra parte». Morello ci ha creduto, cadendo nella trappola. Localizzare il corpo - proprio per mancanza di tracce telematiche - non è stato facile per i carabinieri del Reparto territoriale, diretti dal maggiore Marco Filippi.
La fine riservata alla vittima - coinvolta in passato nel maxiprocesso “Stop” istruito dalla Dda di Catanzaro contro la cosca guidata dal boss (ora pentito) Nicola Acri - non appare decontestualizzata rispetto ai delitti di mafia avvenuti nella Sibaritide negli ultimi anni. E la circostanza sembra destinata a provocare la trasmissione degli atti dalla magistratura inquirente di Castrovillari a quella distrettuale di Catanzaro.
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