Lo Stato arretra nel Sud, un pezzo alla volta si ritira, abbandona le periferie più remote dove non resta ormai più niente da difendere se non la dignità. I paesi sono decimati dalla denatalità, dalla fuga dei più giovani, dalla miseria. Non c’è più lavoro, non ci sono più servizi, non c’è futuro. Qui le correnti umane soffiano più che altrove e questa terra fatica a uscire da quella risacca di disagio che riverbera nei report. E la scelta di Palazzo Chigi, con l’ultima legge di Bilancio (la numero 197 del 19 dicembre del 2022), ha innescato un terremoto che non è solo sociale e nemmeno solo educativo. Un sisma che, dopo aver superato la prova del Parlamento (dove non siede solo una maggioranza di centrodestra ma c’è anche l’opposizione di centrosinistra), ha spianato la strada al dimensionamento scolastico, una manovra che si traduce in tagli alle autonomie meno numerose. Il problema è che il requisito demografico previsto dalla norma non viene raggiunto nel 70% dell’Italia a Sud di Napoli. E così, il disegno del governo si rivela poco inclusivo e destinato a riportare a galla i temi della questione meridionale. E, soprattutto, provoca tensioni e divisioni territoriali, promesse di battaglie nelle sedi giudiziarie e annunci di vendette elettorali contro i cercatori di voti abituati ad elargire promesse. La verità è che il Mezzogiorno si sta spegnendo lentamente. I segni della resa sono chiari tra povertà sociali e bisogni educativi. Ferite che da Roma hanno deciso di risolvere con sforbiciate ai servizi sanitari, ai trasporti, all’istruzione. Qui si accorpano le scuole cancellando le presidenze (che non vuol dire dare il benservito solo al preside ma tagliare posti del personale Ata all’interno della direzione scolastica intesa come ufficio), per risparmiare denari da destinare alle spese di guerra.
Tensioni in aula La resa dei conti è arrivata ieri mattina, nell’Assemblea dei sindaci, alla Provincia, con presidi e sindacati e rappresentanti dei Municipi. Il presidente dell’ente, Rosaria Succurro, ha spiegato la manovra obbligatoria imposta dalla legge: «Il dimensionamento scolastico è nato nel 2022, da un decreto del Governo ratificato dalla Regione e inviato alle Province per l’attuazione. Il lavoro che è stato fatto dalla nostra Provincia è molto certosino e per questo ringrazio gli Uffici, il dirigente del settore, Giovanni De Rose, e tutti coloro che a diverso titolo hanno lavorato per la sua implementazione. Abbiamo dovuto tagliare 29 autonomie (21 erano già a reggenza, ndr) ma è necessario spiegare che nessuna scuola chiuderà e non cambierà l’offerta formativa per i nostri studenti. Per l’accorpamento la scuola più numerosa ingloberà quella con il minor numero di alunni».
I sindacati
La risposta dei sindacati alla Succurro è arrivata a stretto giro di posta. Ed è una replica poco conciliante, sottoscritta da Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda: «La Provincia approvato il piano di dimensionamento scolastico, del quale tutti gli attori principali, studenti, lavoratori, famiglie e dirigenti scolastici sono stati tenuti all’oscuro. Arrogandosi l’illegittimità di una eventuale approvazione senza il parere obbligatorio, anche se non vincolante, delle delibere delle scuole. Riteniamo che questo piano di dimensionamento vada fermato, e bene hanno fatto altre provincie in Calabria ed altre regioni, poiché si tratta di un’operazione sbagliata e in contrasto con le stesse priorità evidenziate dal Pnrr circa il miglioramento della qualità dei processi formativi, di lotta alla dispersione e di sostegno alle aree in cui si registra maggiore sofferenza. Non condividiamo la linea politica espressa dal nostro governo regionale, che nessuna obiezione ha opposto a questa legge di stampo fortemente centralista, che relega le regioni al ruolo di mere esecutrici di tagli puramente algebrici».
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