Dinanzi a tanta rassegnazione che più o meno serpeggia in ogni paese di Calabria, dove il dilemma dei problemi è lo spaventoso spopolamento, “Donne e diritti” imperterrita continua la propria battaglia a favore dell’ospedale cittadino: prima e sino agli inizi del 2000 un riguardoso centro di eccellenza sanitaria «dove pure venivano a ricoverarsi pazienti di altri centri anche distanti da San Giovanni, ora, purtroppo, ridotto ad una scatola vuota». Ieri l’ennesimo sit-in, cui hanno dato voce la presidente del sodalizio Stefania Fratto ed a seguire le dirigenti Raffaella Sibio, Serafina Audia ed altre. Praticamente, hanno detto in coro, «qui è garantito nulla: non c’è un pediatra, non c’è un ortopedico e negli ultimi mesi abbiamo assistito a tre puerpere che hanno dato alla luce i propri neonati in luoghi di fortuna: chi in ambulanza, chi sulle scale e chi sull’uscio di casa». Insomma, se non è possibile un Punto nascita a causa di una legge nazionale che ne fa divieto laddove non si raggiungono i 500 parti annui - ha detto Fratto - ci diano almeno una Casa della maternità perché qui il disagio è tangibile anche perché catalogati come ospedale di montagna». Nessuna colorazione politica, «ribadiamo», né si può essere accontentati quando un arriva un medico; anzi di qua a qualche mese andrà in pensione un dirigente di 2. livello e la criticità, salvo novità che ad oggi non se ne intravedono, è certo che aumenterà. «Per questo - hanno detto Sibio e Audia - la lotta continuerà; andremo di nuovo a Catanzaro, a Roma, perché qui l’ospedale è vita, e senza il nosocomio San Giovanni muore». In ultimo l’incitamento a lottare, come seppe fare l’indimenticato frate cappuccino Antonio Pignanelli: «Quelle erano altre stagioni, ora spetta a noi difendere quello che abbiamo ereditato, perché - hanno concluso da “Donne e diritti” - lo spopolamento in loco è dovuto anche per gli scarsi, quasi inesistenti Lea (Livelli essenziali di assistenza)». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza