L’assassino è tornato in prigione. Simonetta aveva 11 anni e quel giorno di maggio stava rientrando a casa in auto insieme al padre, il procuratore di Sala Consilina, Alfonso Lamberti. Il 29 maggio del 1982 sembrava già estate: un sole caldo illuminava il cielo indaco della Campania rendendo tutto più dolce. Simonetta era felice di stare con il suo papà. Lui era un uomo coraggioso e importante che combatteva la criminalità, lo sapevano tutti. E lei ne era davvero fiera. Quelle ore trascorse con lui l’avevano resa felice. Ora stavano per rimettere piede in città: la vettura era ormai a poche decine di metri dall’ingresso di Cava dei Tirreni, dove vivevano. All’improvviso il rombo d’un motore e una serie di colpi: i vetri vanno in pezzi mentre Alfonso urla alla figlia di restare abbassata. Poi il silenzio. Quello della morte: il procuratore ha delle ferite in varie parti del corpo e sanguina. E Simonetta? La bambina guarda nel vuoto con gli occhi sbarrati e non respira più. I sicari della Nuova Camorra organizzata che dovevano uccidere il magistrato avevano fallito la missione uccidendo l’undicenne. Alfonso Lamberti sopravvisse all’agguato ma morì lo stesso... con Simonetta. La sua vita, da quel giorno, non potè più essere considerata tale. L’Italia rimase scossa e invocò giustizia. Una giustizia che non arrivò: per l’omicidio vennero incriminati Francesco Apicella e Carmine Di Girolamo nella veste di esecutori e Salvatore Di Maio, detto “Tore u guaglione” capo della Nco nell’Agro nocerino-sarnese, in quella di mandante. La tesi sostenuta da togati e investigatori fu che il procuratore Lamberti doveva essere eliminato per i “fastidi” che costantemente arrecava alle truppe cutoliane. In primo grado solo Apicella venne condannato all’ergastolo e gli altri due assolti; in appello invece ottennero tutti e tre l’assoluzione che divenne poi definitiva. Il padre della bambina visse una esistenza d’inferno, finendo addirittura arrestato, nel 1993, per presunte collusioni con la camorra. Gli vomitò contro gravi accuse Pasquale Galasso, vice capo della “Nuova Famiglia”. In carcere il magistrato tentò di togliersi la vita ma fu salvato in extremis. Poi arrivò il proscioglimento da tutte le improbabili accuse. Alfonso Lamberti è morto nel 2015, afflitto da gravi problemi di salute. Quattro anni prima, però, Antonio Pignataro, detenuto ed esponente della famiglia guidata da Di Maio confessò ai magistrati della Dda di Salerno di aver partecipato all’agguato costato la vita a Simonetta. Il camorrista di matrice cutoliana, indicò come correi Gennaro Della Mura, Claudio Masturzo e Gaetano De Cesare, nel frattempo deceduti. Venne perciò processato e condannato, nel 2014, senza godere dei benefici accordati ai collaboratori di giustizia, a 30 anni di carcere e la sentenza passò in giudicato nel 2016. La posizione di Di Maio, Apicella e Di Girolamo non potè essere presa in considerazione perchè erano stati assolti in via definitiva. Nel 2019 Pignataro è tornato in libertà con un permesso premio: la sua scarcerazione ha provocato la sdegnata reazione di Serena Lamberti, sorella di Simonetta. Una reazione che è rimasta tuttavia senza conseguenze. L’uomo, ormai sessantenne, è stato poi sottoposto alla sorveglianza speciale e indotto a risiedere lontano dalla Campania. E come nuova residenza ha scelto Scalea dove, a parere della procura antimafia di Catanzaro, guidata da Vincenzo Capomolla, s’è inserito in un traffico di sostanze stupefacenti. Un traffico smantellato dagli investigatori della Guardia di finanza diretti dal pm antimafia Anna Chiara Reale. La sinergia tra le procure di Salerno e Catanzaro ha consentito di venire a capo del gruppo di presunti narcos nel quale l’assassino di Simonetta avrebbe svolto un ruolo significativo. “Il lupo perde il pelo ma non il vizio” recita un antico adagio. Domani Pignataro e gli altri indagati finiti in manette con lui saranno interrogati dal gip del capoluogo di regione Arianna Roccia.