Lo scandalo di Serra d’Aiello e il debito milionario. L’Istituto “Papa Giovanni XXIII” nacque per volontà di un sacerdote, Giulio Sesti Osseo, per offrire assistenza ai disabili pischici. E per anni assicurò servizi a decine di pazienti provenienti da ogni angolo della regione. Ottenne l’accreditamento con il Servizio sanitario nazionale e garantì occupazione a centinaia di operatori sanitari e socio-sanitari. Negli anni Novanta ospitava fino a 900 pazienti che, col passare degli anni, si ridussero a un terzo. Tutti malati, malati di mente, malati cronici, sventurati bisognosi di cure e di assistenza. Per ognuno di loro la Regione arrivava a spendere anche fino a 195 euro. Nel 2007, tuttavia, l’Istituto venne travolto da una inchiesta giudiziaria che portò all’arresto e alla successiva condanna di un prete, monsignor Alfredo Luberto, che amministrava la struttura. La Guardia di finanza accertò distrazioni di denaro e una gestione “anomala” delle risorse finanziarie tanto da fare irruzione nell’appartamento privato, a Cosenza, del religioso che aveva in casa dipinti di valore e altri beni di lusso. Luberto venne sospeso dall’Arcidiocesi e, successivamente, lasciò l’abito talare. Oggi è un privato cittadino. L’istituto intitolato al “Papa buono” rimasto carico di debiti e con i dipendenti senza stipendio da mesi, dopo l’arresto di Luberto venne affidato a un’amministrazione controllata fino alla dichiarazione di fallimento avvenuta il 10 dicembre del 2009. In quella occasione vi fu la contestuale nomina del curatore fallimentare, Ferdinando Caldiero. Dieci anni dopo il fallimento è stato avviato a chiusura e i crediti - come spesso accade in situazioni del genere - messi all’asta. Nel 2020 sono stati acquistati da una società impegnata in questo complesso settore e, dopo una serie di ulteriori passaggi di mano, ceduti a un’altra società la “Comabio” con sede su via Lungotevere a Roma e capitali belgi. La “Comabio” - ed è questa la clamorosa novità - ha adesso citato in giudizio davanti al Tribunale civile bruzio l’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano. Con l’atto, formalizzato dall’avvocato Mario Paolini, la compagine societaria chiede alla istituzione religiosa il pagamento di 120 milioni di euro dopo che la magistratura adita ne avrà ovviamente accertato la responsabilità nelle traversie economiche sopportate dal “Papa Giovanni XXIII”. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Calabria