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Cosenza, l’alibi del Covid per una sanità disastrata

È una memoria ritoccata quella che il 18 marzo di ogni anno (dal 2021) celebra l’anniversario della strage del Covid. La riflessione si limita al cerimoniale da parata, quasi ci fosse una sorta di imbarazzo e ritrosia a raccontare le notti che hanno segnato il percorso del virus dentro e fuori le nostre città dentro e fuori i nostri ospedali. Di quei giorni sopravvive il ricordo di medici e infermieri, già crocifissi al ruolo di eroi, costretti a fare i conti con la paura. L’angoscia di ritrovarsi con reparti pieni e ambulanze in fila in attesa di scaricare i pazienti all’interno di Pronto soccorso male organizzati e senza più posti. Il biennio di pandemia è sfociato dentro un pantano di spume e detriti che resistono al tempo in una terra che da anni fatica a garantire cure e assistenza ai suoi cittadini. E oggi, il sistema salute non riesce a sciogliere la lingua dal suo groviglio di sofferenza in mezzo a problemi nuovi che si aggiungono a storiche incrostazioni. Il Covid appare solo come uno dei tanti alibi per giustificare un sistema che non va. La difficile risalita verso la normalità, obiettivo del governatore Roberto Occhiuto, si muove tra le macerie scavate da un deficit aumentato nonostante il piano di rientro lacrime e sangue. Un piano calato dall’alto, proprio come i tanti commissari di governo che hanno certificato il fallimento. Del resto, solo grazie alla ingenua ammissione, davanti alle telecamere della Rai, di uno degli esperti inviati dall’ex ministro Roberto Speranza a risanare la sanità, di non sapere nulla del Piano Covid che lui stesso aveva già firmato e che avrebbe dovuto irrobustire i cordoni del sistema sanitario regionale, tutta l’Italia comprese ciò che i calabresi sono costretti ad affrontare quando si tratta di dover elemosinare cure e assistenza. La verità è che il sistema salute regionale era già in crisi da prima del Covid per colpa di anni di malagestione politica. Caso mai, il lockdown nazionale ha impedito che questa terra, sospesa tra il cielo e l’inferno, scivolasse nell’abisso senza ritorno già dopo le frustate della prima ondata. Quando il premier Conte confinò gli italiani nelle loro case, le statistiche del tempo attribuivano a Cosenza e alla sua provincia appena 4 contagiati ricoverati nel reparto di Malattie infettive dell’Annunziata, secondo protocollo (il primo positivo nel Cosentino fu un pensionato arrivato in bus a Cetraro proveniente da uno dei comuni della prima zona rossa d’Italia: Codogno).

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