La pandemia ha finito per mostrare il fianco scoperto della sanità calabrese con ospedali costretti a vivere drammaticamente l’emergenza della carenza di letti disponibili e con reparti “chiusi” per mancanza di medici. Ma dopo il Covid non è cambiato niente dentro i Pronto soccorso che restano covi di rabbia dove si può stare in coda anche per giorni. I pochi “camici bianchi” (rafforzati di recente dall’arrivo dei cubani) visitano, refertano, provano a curare tutti, anche i casi più semplici, quelli che non avrebbero dovuto neanche varcare la soglia della prima linea dell’ospedale. Le aree di emergenza-urgenza sono il modello reale di un sistema salute malato, incapace di fornire risposte adeguate ai bisogni dei cittadini.
Un disagio vissuto in tutta la rete provinciale dove l’assenza di strutture filtro sul territorio finisce, inevitabilmente, per spingere tutti verso gli ospedali. Un abuso di prestazioni che fiacca la capacità di risposta di spoke e hub. Secondo Agenas, nel 2022, a causa di un filtro inesistente sul territorio (medici di base e guardie mediche), i “codici bianchi” registrati al triage dei servizi assistenziali del Cosentino sono stati 3.174 e ben 2.100 dei quali sono entrati nel Dea dell’hub. Considerato che per ognuno di questi casi il tempo medio tra arrivo e dimissioni è stato di 83 minuti, il personale sanitario dell’Annunziata (per i suoi 2.100 accessi impropri) si è dovuto dedicare a prestazioni non appropriate (perché sarebbe bastato il medico di base o la continuità assistenziale) per un totale di 2.905 ore. È anche per questo che chi lavora nei reparti di emergenza è stravolto da carichi insostenibili che non consentono di tutelare il work life balance. E uno dopo l’altro crollano.
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