Quel tribunale del malaffare regolamentava la sua giustizia parallela sentenziando minacce e violenze a chi era coinvolto nei furti non autorizzati preventivamente dal sodalizio criminale del centro storico di Corigliano. Per operare furti e ricettazione, estorsioni, incendi, per spacciare, far rapine e danneggiamenti bisognava avere «l’autorizzazione» del gruppo egemone riconducibile a Filippo Solimando. Chi trasgrediva veniva punito con coltellate, mazzate, risse con tirapugni, auto bruciate. Spedizioni punitive quasi mortali che, nei casi più gravi, sono costate centocinquanta coltellate e che necessitavano anche di venti giorni di prognosi per la guarigione. Indagini tutte confluite poi in quell’operazione scattata nel marzo del 2018 – condotta dagli uomini del nucleo operativo di Corigliano e dalla Procura di Castrovillari allora guidata da Eugenio Facciolla – da cui partì il processo il cui primo grado dovrebbe chiudersi il prossimo 12 luglio. La circostanza è emersa nel corso dell’ultima udienza che si è tenuta a inizio settimana. In quella data i giudici del collegio penale del Tribunale di Castrovillari (presidente Anna Maria Grimaldi, a latere Orvieto Matonti e Rosamaria Pugliese) emetteranno la sentenza nei confronti di sei soggetti coriglianesi imputati nell’ambito del processo cosiddetto “Tribunale”, sui quali pende una richiesta d’oltre 40 anni di carcere da parte del pubblico ministero Antonino Iannotta. Si tratta di Giuseppe De Patto detto ‘U mapputu di 33 anni, Giovanni Arturi detto ‘A vozza di 43, Davide Lagano di 31, Luigi Sabino di 47, Giuseppe Sammarro detto ‘U cardillu di 55, e Filippo Solimando di 54. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza