Santa Lucia, via Gaeta e tutti quei frammenti di quartiere che si compongono come un presepe intorno alla piazza Piccola (che un tempo era nota come piazza dei pesci), sono porzioni di una città vecchia e multiforme che inghiotte persone senza volto e senza identità. Invisibili, sconosciuti all’Erario e al Comune. Non godono dei diritti essenziali ma non rispettano i diritti della collettività. Sono, soprattutto, rom questi gruppi di clandestini rintanati negli angoli più remoti della città vecchi. Sono gli stessi rom che hanno vissuto per lungo tempo ammassati in quel ghetto scavato tra il Crati e la campagna alle spalle di Vaglio Lise. Per anni, il loro mondo era in mezzo alla vergogna della case di cartone e lì tiravano a campare tra i pericoli del fiume e il rischio di epidemie. Vivevano da miserabili nelle capanne che odoravano di sofferenza, ammassati come bestie adulti e bambini. Per tutto quel tempo, quella gente ha tirato a campare con elemosine e con i bottini dei furti di rame. Avevano pure imparato a rubare la corrente per riempire di quattrini le tasche dei loro padroni. Poi, ci ha pensato Occhiuto disponendo la bonifica del fiume. I rom avrebbero dovuto lasciare Cosenza, in direzione dei campi attrezzati. In realtà, molti di loro si sono nascosti nel quartiere più antico della città, vivendo da invisibili nei ruderi che s’affacciano nei vicoletti che si aggrovigliano intorno a corso Telesio. Nei giorni scorsi, il sindaco Franz Caruso, annunciando la bonifica del Vico I Santa Lucia e il recupero dei palazzoni attraverso i fondi previsti dal Contratto di quartiere, ha fatto riferimento proprio agli invisibili, lanciando un appello a tutte le istituzioni. «Noi da soli non abbiamo strumenti per poter intervenire. Ma tutti insieme possiamo aiutare questa gente a riemergere dalle tenebre e, contemporaneamente, a restituire decoro al centro storico». Le vite dei rom, adesso, scorrono in quelle vecchie abitazioni con pareti sventrate da enormi crepe, intonaci che si staccano dopo ogni temporale, solai traballanti e porte quasi tutte sfondate. Dentro e fuori questi immobili gli anni passano inesorabilmente e continuano a piegare la schiena di questo pezzo di città che sembra dimenticato. I segni della vecchiaia sono ben stampati sui muri dei palazzoni secolari che continuano indebolirsi e a sbriciolarsi. Ma loro vivono lì, nascosti dentro quelle case marce dagli equilibri precari che si affacciano sui vicoletti stretti che si annodano intorno all’impianto abitativo. Pagano canoni di affitto in nero, non esistono contratti depositati. Versano puntualmente le quote ai possessori di quelle case, come spiega il primo cittadino. «Non essendo i contratti di locazione registrati regolarmente, non sono censiti all’anagrafe, non godono di tutele sanitarie, e non pagano le tasse come tutti gli altri cittadini. Queste porzioni di città sono interamente sottratte al controllo della legalità, luoghi precipitati nel baratro del degrado. Non pagando la Tari, nessuno raccoglie la loro spazzatura che viene abbandonata per strada. E, in passato, è capitato che cumuli di rifiuti siano finiti in fiamme. Comprendo le lamentele dei cittadini che vivono in questo quartiere per le condizioni in cui versano questi luoghi. Più volte sollecitiamo le Coop e la stessa Ecologia oggi ma mi rendo conto che è difficile anche per loro mantenere il decoro urbano in queste condizioni. Ma il problema non sono i rom, il problema è costituito da chi si arricchisce lucrando sulla disperazione di queste famiglie, locando immobili fatiscenti in nero. Spesso non sono i proprietari ma chi si ritrova a gestire il possesso di quelle abitazioni».
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