Tu chiamali, se vuoi, schiavi del terzo millennio. Perché tali sono loro, e schiavisti chi li sfrutta senza pietà, approfittando in alcuni casi della loro “semplicità” e in altri della clandestinità che li rende legalmente più fragili ma non meno bisognosi. Storie di ordinario sfruttamento scritte nell’area urbana sulla pelle già piagata di stranieri e italiani che cercano un lavoro e trovano ben altro. Le raccolgono i volontari dell’unità di strada della Caritas diocesana che due volte a settimana si muovono per l’area urbana alla ricerca dei tanti che sopravvivono in strada, sotto ponti e tende, alla stazione ferroviaria o in alloggi di fortuna. Portano loro un po’ d’acqua, d’inverno coperte e pasti caldi preparati da altri volontari o donati da attività commerciali e ristorative che lo fanno senza che la sinistra sappia quel che fa la destra. Ma il cibo è un pretesto per avvicinarli, raccoglierne disagi o semplicemente ascoltarli per provare a dare loro conforto. Che spesso è quello di cui hanno più bisogno: qualcuno che spezzi la loro solitudine. Le storie E nell’uscita di mercoledì notte sono emersi gli ultimi due racconti che lacerano il cuore, raccontano i volontari dell’associazione “Casa nostra” della Caritas che è responsabile dell’unità di strada come della mensa, dell’emporio solidale, del “Casale del Melograno di Castrolibero e di altri alloggi del centro storico nel quale, tra l’altro, accolgono detenuti agli arresti domiciliari che altrimenti non potrebbero ottenere poiché senza casa. L’obiettivo è sempre il recupero e il reinserimento, non solo l’accoglienza. I nuovi schiavi Due, in particolare, gli sfoghi raccolti mercoledì dagli operatori. Quello di Giacomo (il nome è di fantasia), non più giovanissimo e con fragilità dal punto di vista intellettivo, il quale ha spiegato d’avere cambiato lavoro perché il padrone gli dava 20 euro a settimana per badare ai suoi animali. Inizialmente erano 50 e lui lo faceva pure volentieri, ma quando è sceso sino ad arrivare a 20 euro, ha trovato la forza e il coraggio di dire «basta». Ora fa il manovale sempre a 50 euro la settimana, ma almeno nel primo pomeriggio può tornare a casa mentre prima era costretto a lavorare sino alla sera. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza