La paura e la fame sono i lieviti amari di una storia recente segnata da conflitti e speculazioni. È il crepuscolo della spesa familiare, l’ora della sfiducia, delle difficoltà. Le attività commerciali si muovono lungo un transito di dannazione che conduce verso un doloroso approdo. L’inflazione tendenziale da oltre due anni, ormai, si porta dentro una forza dirompente, scuote, spezza, deforma, distrugge uomini, imprese, sogni. Il riassunto del disagio che si vive, soprattutto, al Sud è nelle stime di un carovita che non tramonta mai. Certo, la Calabria ha chiuso con un incremento medio annuale dei prezzi al consumo pari a +0,7%, un pelino più basso del dato medio nazionale che, invece, segna un +0,8%. Sulla bilancia sociale pesa la corsa al rialzo dei prezzi dei principali beni di consumo. E le ultime stime dell’Unione nazionale consumatori su dati Istat non sono certo confortanti. Cosenza è la città con i prezzi di cibo e bevande analcoliche più alti. In particolare, rispetto ad aprile dello scorso anno, si registrano rincari del 3%. Cosenza è, complessivamente, la città più cara della Calabria, con una inflazione annua di +1,1% che la collocano al 35.mo della graduatoria nazionale. Rialzi che corrispondono a ulteriori 195 euro in termini di aumento del costo della vita per una famiglia media (marito, moglie e due figli), rispetto ai 119 euro che rappresentano la media dell’esborso aggiuntivo in Calabria. E nonostante la frenata dei prodotti energetici (- 415 euro per famiglia media su luce, gas e benzina). Più contenuti i rialzi nel resto della regione. A Catanzaro, l’inflazione media è perfettamente in linea con la media regionale: +0,7%, con un incremento di spesa per le famiglie di 124 euro all’anno. A Reggio, addirittura, l’aumento dei listini medi è quasi impercettibile: +0,1%, con appena 18 euro in più all’anno di spesa familiare. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza