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Processo Reset a Cosenza, le confessioni del pentito aspirante... diacono

L’estorsione in danno dell’impresa che stava realizzando la nuova piazza F e il summit convocato prima d’uccidere Luca Bruni. Il collaboratore sentito per ore nell’aula bunker di Lamezia Terme

Luciano Impieri

La vita da ‘ndranghetista e poi la conversione. Piena. Luciano Impieri, dopo aver trascorso parte della sua vita imponendo il “pizzo”, menando le mani e schivando pallottole, ha deciso di collaborare con la giustizia. Una matamorfosi che l’ha indotto ad abbracciare la fede cattolica sino a spingersi a desiderare di diventare diacono. Il picciotto, poi fatto “camorrista”, d’un tempo non esiste più. L’ex malavitoso, difeso dall’avvocato Caterina De Luca, l’ha dimostrato ieri deponendo nel maxiprocesso nato dall’operazione “Reset”.
Il pentito ha risposto alle domande del pm antimafia Vito Valerio che con il collega Corrado Cubellotti e il procuratore Vincenzo Capomolla ha costruito la maxinchiesta culminata nella fomale incriminazione di più di 300 persone.
Impieri, raccontato il proprio excursus criminale ha rivelato retroscena interessanti riguardo alle attività delle cosche della ‘ndrangheta nella Calabria settentrionale.
Il primo può certamente essere considerato il fatto che l’estorsione condotta in danno della impresa chiamata a costruire la nuova piazza Fera nel capoluogo bruzio «era una cosa dei Muto». La antica e potente cosca di Cetraro aveva insomma egemonizzato l’affare in danno dei clan di Cosenza determinando delle tensioni poi però sopite.
Il secondo riguarda l’esistenza di una “confederazione” di ‘ndrine operanti tra il capoluogo e Cassano. Rispondendo alle domande del pm Valerio, infatti, Impieri ha testualmente affermato: «Oggi non c’è un capo a Cosenza o a Cassano, c’è una cosa sola».
Il terzo retroscena riguarda i rapporti intessuti dai cosiddetti “italiani” con gli zingari. «I rapporti criminali tra Michele Di Puppo e Maurizio Rango erano buoni» ha sottolineato il pentito «il difetto lo faceva sempre quest’ultimo, perché aveva un carattere particolare. Di Puppo aveva un suo gruppo, la sua persona di fiducia era Alberto Superbo poi c’erano anche Umberto Di Puppo, Francesco De Luca: questi quelli che ho conosciuto». Secondo il collaboratore, Maurizio Rango, capo della “ Nuova famiglia”e Di Puppo avrebbero fatto «accordi di pace», in particolare «il 60% su estorsioni e droga lo prendevamo gli “Italiani” mentre gli “Zingari” il 40%». La differenza era a favore dei primi perché «avevano più detenuti da mantenere. Mi dicevano che era stato Ettore Lanzino a decidere le percentuali». Lanzino personaggio storico della ‘ndrangheta bruzia è morto per cause naturali nel carcere dove stava scontando una condanna definitiva all’ergastolo in regime di 41 bis. Luciano Impieri rivela in aula pure del summit convocato per decidere la morte di Luca Bruni, “reggente” dell’omonimo clan. «Ci fu una riunione per decidere della morte di Luca Bruni, serviva il comune accordo per il delitto. Erano presenti Maurizio Rango e Franco Bruzzese per la parte rom, poi Umberto Di Puppo e Renato Mazzulla (che aspettava fuori). Si è stabilito che con il 60%-40% si poteva stare bene e si stava in pace e quindi ognuno poteva andare a mangiarsi la pizza con la famiglia senza il timore di essere ucciso». La direzione strategica del clan degli “Italiani”, era costituita secondo il collaboratore da «Francesco Patitucci, Roberto Porcaro, Mario “Renato” Piromallo, Mario Gatto, Gianluca Marsico». Impieri ha pure parlato dell’ergastolano Franco Presta indicandolo come una persona «molto temuta in ambito criminale».

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