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Sangue infetto somministrato a una donna nel 1972, salasso per il Comune di Cosenza e per il Ministero

Condannati a risarcire la famiglia di una 66enne morta per una trasfusione in ospedale

Sangue infetto Italia condannata

Una trasfusione di sangue infetto costerà cara al Municipio bruzio e Ministero della salute. Entrambi sono stati condannati dal tribunale di Catanzaro – che ha accolto le tesi dell’avvocato Massimiliano Coppa – a risarcire la famiglia di una donna morta qualche anno fa a causa di una trasfusione infetta eseguita nel lontano 1972. I giudici nella sentenza hanno applicato il subentro dell’amministrazione comunale nel rapporto giuridico instaurato con la paziente all’atto della prestazione sanitaria e stipulato col disciolto e soppresso Ospedale civile dell’Annunziata, divenuto in seguito Azienda Ospedaliera.
Il Tribunale di Catanzaro in accoglimento delle istanze avanzate dai congiunti della donna, deceduta a 66 anni, a causa della contrazione di epatite C a in seguito alla somministrazione di sangue infetto nel 1972, ha condannato il Municipio bruzio e il Ministero della Salute al pagamento di un risarcimento superiore al milione di euro in favore dei congiunti che avevano richiesto i danni a causa del decesso ritenuto ingiusto. I giudici hanno accolto le tesi del legale della famiglia che aveva rivolto le istanze risarcitorie anche al Comune di Cosenza, in virtù di specifica normativa di riferimento. La questione a prima vista era abbastanza complessa in quanto le trasfusioni erano avvenute nel 1972 e il decesso nel 2018. Un lasso di tempo considerevole che avrebbe potuto influire sul diritto al risarcimento. «Ciò non è avvenuto – ha avuto modo di spiegare l’avvocato Massimiliano Coppa – è stata dettagliatamente scandita la triste storia clinica della vittima la quale in occasione del parto dei propri figli, fu sottoposta a numerose trasfusioni nel disciolto Ospedale civile dell’Annunziata e solo molti anni dopo realizzò di essere stata contagiata con il virus HCV che in seguito la condusse a morte». Tesi che il Tribunale di Catanzaro ha accolto integralmente ritenendo che «i danneggiati hanno svolto la loro domanda prospettando la responsabilità dell’Ospedale di Cosenza in ragione della prestazione sanitaria consistita nelle trasfusioni cosicché, in conseguenza del fenomeno successorio, il Comune di Cosenza è subentrato nel rapporto giuridico instaurato con la paziente all’atto della prestazione sanitaria effettuata con “l’asserita” colpa, così da risultare legittimato passivamente rispetto a tutte le conseguenze della condotta illecita e colposa anche se si è manifestatasi a distanza di tempo dalla prestazione». Quindi la titolarità dei rapporti passivi già gravanti sul soppresso ente ospedaliero è stata trasferita al Municipio territorialmente competente a titolo di successione universale e alle amministrazioni comunali va riconosciuta la legittimazione passiva nei giudizi promossi per il recupero dei relativi crediti e i debiti contratti da un ente ospedaliero soppresso sono trasferiti al Comune territorialmente competente divenuto proprietario dell’Ospedale ed è stato espressamente escluso che alle Usl possano essere imputati crediti e debiti derivanti dalla gestione delle funzioni da parte degli enti ospedalieri e degli enti mutualistici nelle materie del servizio sanitario nazionale riferibili al periodo anteriore al primo gennaio 1981, nonché quelle conseguenti alla gestione delle funzioni medesime da parte dei Comuni, delle province e dei consorzi sanitari di enti locali anteriori alla data di effettivo trasferimento delle relative funzioni».
In merito poi alle specifiche responsabilità del Ministero della Salute, sempre a seguito di una lunga disamina giurisprudenziale e normativa proposta dal legale della famiglia, in materia di trasfusioni e nesso causale con il decesso, il Tribunale – entrando nel merito della vicenda – ha ritenuto provata «la condotta omissiva del comportamento dovuto da parte del Ministero in riferimento alla trasfusione di sangue infetto.

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