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Il chirurgo-docente torna nella sua Calabria. Nardo: “Val la pena di restare nella nostra terra”

Dopo una lunga esperienza a Bologna. Una vita professionale condotta in Italia e all’estero, ora l’impegno all’Annunziata e all’Unical. L’appello ai giovani: «Offrite il vostro contributo per cambiare le cose e mettetevi in gioco»

Il luminare tornato in Calabria. Bruno Nardo è docente universitario e chirurgo di fama: la sua storia umana e professionale riporta alla memoria certi scritti del grande intellettuale Leonida Rèpaci cantore del legame profondo esistente tra i calabresi e la loro terra. Un amore che il fondatore del Premio letterario di Viareggio coltivava intensamente.
Professore Nardo, lei è stato a lungo docente e chirurgo a Bologna, perchè ha scelto di rientrare a lavorare nella sua regione?
«Non sono mai andato via dalla Calabria: l’ho lasciata a 18 anni per andare a studiare a Bologna mantenendo però, già in quegli anni, un legame forte con la mia regione. Pensi: adesso gli specializzandi vengono pagati e assunti negli ospedali, ai miei tempi non si veniva retribuiti. Io avevo 24 anni e per mantenermi scendevo a Capistrano e Monterosso a fare le guardie mediche e ripartivo poi per seguire i corsi di specializzazione nel capoluogo felsineo. Amavo e amo così tanto la mia terra che quegli enormi sforzi non mi stancavano. Ero contento di tornare pur se tra mille fatiche e difficoltà. Quando sono stato poi assunto al Sant’Orsola di Bologna venivo a fare ambulatorio in Calabria. Nel tempo, vedere questa schiera di pazienti che saliva in Emilia Romagna ogni anno a curarsi, mi ha indotto a fare una scelta importante e decisiva: ritornare giù e rimanervi in via definitiva».
Lei era già venuto a prendere servizio a Cosenza nello scorso decennio?
«Si, avevo fatto per 5 anni il primario tra il 2007 e il 2012: l’attività di trapianti era stata sospesa perchè il professore Petrassi andando inpensione aveva lasciato un vuoto e pertanto la riattivai avviando pure una struttura destinata a trattare le patologie complesse anche per ridurre la migrazione sanitaria di cui ero stato a lungo testimone. In quei cinque anni entusiasmanti riavviai l’attività dei trapianti e insegnai come applicarla agli altri chirurghi. Tanto che quando andavo in giro per i congressi presentando i dati, molti colleghi si meravigliavano dei traguardi raggiunti a Cosenza. In quegli anni organizzammo dei congressi di chirurgia con interventi “in diretta” dalla sala operatoria dell’Annunziata. Interventi compiuti dai più grandi chirurghi del mondo - penso ai professori Makughi, Brianerose, Boudjema - seguiti a distanza nelle sale congressuali.»
Poi, però, è andato via, perché?
« Nel 2012 sono andato via perché il contratto con l’azienda ospedaliera era di 5 anni e non rinnovabile per problemi amministrativi legati alla celebre spendig review imposta dal governo Monti. Così, ho ripreso il mio ruolo di professore all’università di Bologna. Nei sei anni compresi tra il 2013 e il 2019, oltre a girare il mondo per corsi di formazione attivati negli Stati Uniti e in Sud Africa sono riuscito a tenere lezioni, una volta al mese, agli specializzandi della Università di Catanzaro».
Dunque, tante soddisfazioni accademiche e professionali ma... il cuore spingeva verso Sud: è così?
«Sentivo verso la Calabria un impegno non completato: volevo tornare per fare attività di ricerca e di didattica. Così ho partecipato e vinto il concorso per la guida della chirurgia “Falcone” dell’Annunziata. Sapevo che c’era un progetto che si sarebbe concretizzato con la nascita del corso di laurea in Medicina e Chirurgia all’Unical e questo mi ha indotto a trasferirmi ed a scommettere sulla attività universitaria che come un germoglio sta crescendo. È stimolante perchè all’attività assistenziale si è associata quella di ricerca e di didattica nell’ambito della chirurgia e della tecnologia interventistica digitale. Siamo protagonisti di un processo evolutivo concretizzatosi con il passaggio dalle vecchie tecniche di resezioni epatiche all’attività di sviluppo di chirugia mini-invasiva per tumori del colon e del retto. E di recente, grazie all’Unical, disponiamo di un robot “da Vinci” che ci consente di fare interventi di chirurgia mini-invasiva robotica. Abbiamo dato una impronta moderna e innovativa alla chirurgia generale di Cosenza diventata da un anno a direzione universitaria. Ciò ha prodotto importanti effetti: insieme al mio collega ricercatore Francesco Pata, abbiamo potuto avviare la richiesta di attivazione della scuola di specializzazione di chirurgia generale nel capoluogo bruzio. Ciò significa che con il nuovo anno accademico avremo l’arrivo degli specializzandi per 5 anni».
La sanità pubblica sta cambiando davvero?
«C’è un grande fermento nella sanità pubblica sia dal punto di vista assistenziale che universitario. Sono arrivati tanti colleghi nei settori della Oncologia, Nefrologia, Ematologia e tanti altri ne verranno.
Professore usciamo dalle sale operatorie: che fa nel tempo libero?
«Il tempo libero è poco: vivo in ospedale 12 ore al giorno. L’ospedale è la mia prima casa e il sabato e la domenica vado a fare il giro visita nei reparti. Quando posso vado al mare e amo, se ce n’è la possibilità, fare qualche giro in barca. Mio fratello mi porta lungo l’incantevole Costa degli Dei. Devo confessarle, tuttavia, che un chirurgo non è mai fino in fondo libero: il mio cellulare è attivo 24 su 24. La pesca, però, mi hda insegnato tante cose. Quella dei “surici”, per esempio, mi ha insegnato ad avere la giusta pazienza quando occorre sciogliere i nodi che a volte si creano nei fili di sutura».
Chi sono le persone che più l’hanno colpita durante la sua carriera professionale?
La persona che più mi ha colpito è il professore Renato Dulbecco: nel 2002 organizzai un congresso nazionale e speravo di portarlo in Calabria. Non fu possibile: così andai a trovarlo nella sua abitazione di Lugano e la semplicità che questo scienziato Premio Nobel per la Medicina mi mostrò durante l’incontro mi ha fatto capire tante cose. Non posso poi non citare il mio Maestro, il professore Antonino Cavallari, che vive a Bologna e che continuo a chiamare quando nutro qualche dubbio. Eppoi, Bruno da Longobucco il primo chirurgo accademico calabrese: fu all’università di Padova e scrisse dei volumi di medicina tanti secoli fa che furono poi letti e studiati in tutto il mondo.
A loro aggiungo i professori Francesco Crucitti, Rocco Docimo e Antonio Petrassi. Quest’ultimo è stato il pioniere dei trapiantati del rene in Calabria. Con lui ho un debito personale: operò mia madre e poi lui volle che lo operassi. Per me quello fu uno degli interventi più stressanti: dovetti eseguirlo nella sua sala operatoria e fu impegno non da poco».
Professore vale la pena restare o tornare nella regione d’origine?
«Vale la pena restare o ritornare in Calabria per dare un contributo. È una esperienza entusiasmante. Per cambiare le cose occorre mettersi in gioco in prima persona. Io invito tutti i giovani a rimettersi in gioco a tornare in Calabria oppure a rimanere. Ne vale la pena, sì».

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