Un fiume senza più argini. Roberto Presta, collaboratore di giustizia arruolato dallo Stato tre anni fa, parla di giudici corrotti, tangenti pagate per “aggiustare” processi e legami tra importanti boss della ‘ndrangheta e servizi segreti. La scena processuale di “Reset” si è trasformata ieri in un palcoscenico animato da una serie di colpi di scena. Il pentito, nipote del superboss ergastolano Franco Presta e fratello di Antonio Presta, divenuto dopo l’arresto del parente, il presunto “reggente” dei gruppi operanti nella Valle dell’Esaro, rispondendo alle domande dell’avvocato Esbardo ha raccontato di aver beneficiato dei “favori” del giudice Marco Petrini, già presidente della Corte di assise di Catanzaro in relazione a una vicenda giudiziaria che lo vedeva nel passato coinvolto. Per il tramite di un avvocato - del quale non ha fatto il nome - avrebbe ottenuto, in cambio della dazione di 2000 euro, una maggiore libertà di movimento quando si trovava agli arresti domiciliari. In che senso? «Io potevo uscire dalle sei alle nove e lui mi ha dato 30 minuti in più». Poi gli immancabili servizi segreti, croce e delizia di ogni vicenda giudiziaria che si rispetti avviata nel nostro Paese negli ultimi 50 anni. Anche in questo caso, rispondendo a una domanda della difesa, il collaboratore ha detto: «Io non ho avuto contatti ma vi posso dire che persone con cui sono stato in carcere, persone di 60 e 70 anni, ancora adesso capi, ci hanno avuto a che fare». Poi l’affondo di Presta contro presunti avvocati che «volevano 40mila euro per un processo perchè dovevano dare i soldi al giudice Petrini ed a chi c’era a fianco». Il pentito ha sottolineato di aver già dichiarato queste cose davanti ai magistrati inquirenti di Salerno e di Bari. Dunque, la procura campana e quella pugliese avrebbero aperto altre indagini sul togato catanzarese già condannato per corruzione in atti giudiziari e altri magistrati del distretto. L’avvocato Luca Acciardi, difensore impegnato nel processo, è intervenuto con forza dopo queste pesanti dichiarazioni del collaboratore, sottolineando come si stesse «infangando una intera classe di giudici e avvocati».