L’assistenza sanitaria segue le traiettorie infinite di un campo minato che si spalanca fuori dai confini degli ospedali. Dentro, sono i Pronto soccorso a rappresentare quel fronte perenne, ormai noto, nella raffineria del sistema salute calabrese. Le stanze dei reparti di emergenza-urgenza sono da anni una specie di pozzo in cui tutto precipita e dal quale tutto ritorna, scaffali dove si ammassano a vista corpi come merci tra lamenti, gemiti di sofferenza e dolore. Il concatenarsi di eventi, che s’infiltrano nelle prime linee degli Spoke e dell’Hub, finiscono per contaminare le vite dei malati che sono costretti a misurarsi con quel susseguirsi di trame che fermentano dentro altre trame. L’assedio è senza fine in spazi che finiscono presto. Ieri, ad esempio nel Pronto soccorso di Castrovillari, si è tornati ad utilizzare le sedie per i pazienti in attesa di cure e responsi diagnostici. Ma è così ovunque in questa terra che sembra rotolare verso un bordo rischioso
Un “buco nero” perché nella realtà non esistono filtri, non ci sono strutture intermedie. Il territorio resta un “buco nero” nel quale sparisce la speranza di trovare risposte ai bisogni di salute. Non ci sono più punti di riferimento e gli ospedali rappresentano, inevitabilmente, l’ultima spiaggia, anche nei casi catalogati come accessi impropri. La verità è che non si può star male, soprattutto, nei piccoli comuni dove spesso, col medico di famiglia non è garantita neanche la continuità assistenziale. E così, il diritto alle cure e assistenza è quello che viene garantito (nei limiti del possibile se non c’è l’assedio) negli ospedali.
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