L’allarme arriva dai giovani che rischiano di dissolversi in un mondo pieno di pericoli e incertezze. Senza logica si lanciano a capo fitto in disavventure che contribuiscono a far lievitare dentro ognuno di loro sentimenti di inciviltà che s’incanalano in forme rituali e condivise. Tutta la loro vita, in fondo, scorre così, come in un film. E come un film viene raccontata in diretta con immagini e videoclip sui social. È un fenomeno che si muove nelle chat di WhatsApp, nelle storie di Instagram, nei video postati su TikTok. Le loro esistenze seguono le rotte di like e repost, da un capo all’altro del variegato e indefinito mondo della rete. Un modello di follia di cui si nutre la porzione di umanità sempre più compressa e alterata. E tutto questo avviene per mancanza di punti di riferimento autorevoli, di modelli educativi. Ai ragazzi mancano esempi più che lezioni, maestri più che professori. E così può succedere quello che è accaduto a una giovane mamma, Maria Teresa e alla sua bimba di appena sei anni. È la donna a raccontarlo ancora indignata perché «quei due giovani non hanno avuto neanche il garbo di chiedere scusa e di sincerarsi delle condizioni di mia figlia». La storia di maleducazione quotidiana comincia da una serata normale, calda, con la città a bagnomaria per il ritorno dell’afa e dell’umidità dopo un giorno di pioggia. Una giovane madre e le sue figlie sono a passeggio sull’isola pedonale di Corso Mazzini con un gelato come premio per le bambine. A un certo punto, però, succede qualcosa che stravolge la serenità familiare. «Più o meno, davanti alla statua della bagnante, mia figlia mi ha chiesto di poter buttare la carta del gelato in un cestino. Ma mentre tornava verso di me è sbucato dal nulla quel monopattino con due quattordicenni che ha investito la bambina. Quando ho fatto notare che non potevano stare proprio sull’isola pedonale perché c’è un divieto hanno risposto divertiti che la colpa era di mia figli che era spuntata dal nulla. Neanche la sensibilità di assicurarsi che non si fosse fatta male. “Noi stavamo andando a casa”, hanno detto e si sono allontanati, urlando volgarità contro di noi mentre risalivano divertiti con il loro monopattino via Arabia. Da mamma sono sconcertata, non riesco a pensare che un ragazzino non si mortifichi davanti a un fatto così grave. E nemmeno la sensibilità di ammettere di aver sbagliato, anzi, pretendendo la ragione. Da cittadina penso sia ancora più sconfortante non sentirsi al sicuro neanche in un area pedonale perché non ci sono controlli e aspettiamo che il buonsenso guidi l’animo di ognuno di noi. Ho anche inviato al sindaco Caruso una mail. Ciò che mi consola è che mia figlia stia bene, anche se è molto spaventata».